PENNE 1920/PENNE 2020 IL COLLOVATI BIANCOROSSO
L’eleganza di Luciano Marini. Subì una sola ammonizione. Che rivela:“Tranquilli voleva operare Pendenza…”

di Berardo Lupacchini

Sapeva difendere ed attaccare nel segno di quel gioco collettivo che l’Olanda di Crujff aveva mostrato pur perdendo due mondiali di seguito, nel ’74 e nel ’78. Nella seconda metà degli anni ’70 Luciano Marini e il fratello gemello Antonello, punta, classe ’59, montebellesi doc, erano arrivati in prima squadra provenienti da un settore giovanile di tutto rispetto. “Avevo 14 anni quando approdai al Penne”, racconta da Fermo dove lavora come medico in una struttura per anziani Luciano Marini.

“Fu mio zio Romano a segnalare a Guido Colangelo me e mio fratello, forte davvero. Giocavo in attacco, io e l’amico buonanima Ernesto Morandini segnammo una valanga di reti. Divenni difensore col tempo e perciò sviluppai il senso del gol specie di testa: ne feci alcuni molto belli e decisivi, come con il Termoli, spesso imbeccato da Roberto Palma sui calci di punizione. Dal 1976, dopo gli spareggi con il Raiano e nel primo anno di promozione, venni inserito in prima squadra a neanche 17 anni. Quel campionato era nettamente diverso rispetto alla prima categoria. Alla fine, ho militato una decina d’anni in quel Penne, considerando anche che nel ’79 mi iscrissi all’università di Bologna”.

(Antonello Marini, Carlo Ranieri, Luciano Marini)

Cosa ricordi di quel tempo?

”Due cose in particolare: l’agonismo e lo spogliatoio. A me piaceva la sfida, il corpo a corpo con l’avversario, mi esaltavo. Colangelo mi illustrava le caratteristiche del centravanti da marcare, ma io gli dicevo che dovevo capire da solo chi mi trovavo di fronte. E poi il clima dello spogliatoio, stare insieme ai miei compagni, eravamo tutti amici, ci divertivamo, scherzavamo”.

I gemelli Marini vennero ceduti al Teramo in C di cui Fernando Colangelo, già calciatore del Penne e cugino di Guido era dirigente, ma rinunciarono al trasferimento. “L’accordo era per 18 milioni di lire, ma nostra madre non era affatto d’accordo e dicemmo no. Restammo al Penne che poi fu promosso in Interregionale dopo averlo sfiorato per diverse stagioni. Momenti bellissimi, eravamo forti, giocavano sempre gli stessi, il gruppo era affiatato. Nessuno voleva emergere, era divertimento puro, ci vedevamo a cena spesso”.

(Antonello Marini)

Gli avversari più forti?

”Ricordo quel Ciceri del Riccione che era stato anche a Pescara. O Venceslao Lotorio che poi venne a Penne. Oppure Amedeo Assetta che giocò tre anni con noi, mi toccò poi marcarlo quando andò al Silvi e ridevamo in campo. Me ne ricordo uno, un tal Pendenza, che giocava col Pratola e che sul campo neutro di Scafa mi riempì di botte. L’amico Tranquilli, purtroppo appena scomparso, mi disse: al ritorno lo opero senza anestesia, ma non si presentò!A Celano una volta uscimmo dopo due ore perché la gente ce l’aveva con Felice Liberati per il suo comportamento all’andata. Prendevo 60 mila lire al mese e duemila per ogni allenamento: andavo nel negozio dell’amico Pollastri a spendere quei soldi per vestirmi”.

Ed ora segui ancora il Penne?

”Il risultato lo cerco, chiedo notizie, pur vivendo fuori regione. Abbiamo saputo della morte di Rocco Core, ma dell’evento commemorativo dell’anno scorso purtroppo non siamo stati informati e ci è dispiaciuto…”.

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