Giordano Bruno Guerri non ha bisogno di presentazioni ufficiali: il suo nome è già storia contemporanea. Professore, storico, giornalista, noto scrittore italiano che ha diretto anche importanti riviste. È tra i massimi esperti del ventennio fascista, dei rapporti fra Stato e Chiesa Cattolica e in ultimo, ma non per importanza, di Gabriele d’Annunzio. Dal 2008 è Presidente della “Fondazione Il Vittoriale degli italiani” occupandosi a tutto tondo della figura e dell’eredità culturale e storica del Vate. Dal 2019, invece, è alla direzione artistica del “Festival Dannunziano” di Pescara.
Professore, con lei alla guida del Vittoriale, e con le sue pubblicazioni, possiamo affermare con fermezza che è stata rovesciata quasi totalmente l’immagine che la maggior parte degli italiani ha raccolto nel tempo del Vate. Forse perché il mestiere dello storico è proprio quello di dare informazioni inedite? È stato questo il motivo, secondo lei?
«Mi fa piacere che lei sottolinei questo aspetto, perché si parla del mio lavoro per la conservazione e la valorizzazione del Vittoriale, ma credo che sia un lavoro che qualsiasi manager è in grado di fare. Invece, il lavoro dello storico, più difficile, è stato quello di riscoprire e mettere nella giusta luce la figura di Gabriele d’Annunzio, trascurata, maltrattata. Al liceo, per esempio, non mi avevano mai insegnato La pioggia nel Pineto […]. Invece d’Annunzio è una figura centrale sia dell’Ottocento sia del Novecento, in campi come la poesia, la letteratura, la drammaturgia e soprattutto per la storia viva di questo Paese a partire dalla guerra e dall’impresa di Fiume.
Su di lui ci sono degli equivoci che sono stati tramandati prima, da una borghesia piccina e provinciale dell’Italia di fine ottocento, che gli rimproveravano gli eccessi di spesa, la libertà sessuale (cose che noi oggi rivendichiamo e facciamo nostre) [..] quindi ha semplicemente anticipato di cento anni la nostra vita. Poi c’è il legame con il fascismo che è l’equivoco maggiore: in realtà d’Annunzio non era certamente fascista, un super uomo come lui era non può appartenere a un’ideologia né tantomeno a un partito. D’Annunzio era certamente un nazionalista ma disapprovava quasi tutto per il resto del fascismo, aveva un vago rispetto per Mussolini, un misto rancore per il tradimento che gli aveva fatto a Fiume e convissero non tanto felicemente come si crede, ma una reciproca sopportazione non potendosi eliminare la vicenda. […].
La cosa più importante che D’Annunzio fece a Fiume, fu la Carta del Carnaro, che era una costituzione estremamente democratica e avanzatissima, basta dire che prevedeva la parità assoluta fra i sessi; in un’epoca in cui si discuteva se le donne potessero o non potessero votare, lui diceva che potevano votare, e addirittura essere elette. In virtù della parità assoluta, potevano fare il servizio militare, cosa che in Italia è stata applicata negli anni ’90 del 1900, poi c’era il divorzio, l’autonomia comunale, molto di culturalismo, molto di turismo eccetera. Un altro equivoco nasce dalla famosa frase di Mussolini “D’Annunzio è come un dente guasto: o lo si ricopre d’oro, o lo si estirpa”: d’Annunzio era ricco, poteva provvedere da solo alle proprie peripezie, ai suoi doni, alle sue spese.
Ebbe quel denaro per il Vittoriale e, in seguito, la bellissima idea di regalarlo agli italiani fino al 1923. Il regime poi lo dichiarò monumento nazionale e da quel momento lo Stato aveva il vantaggio di valorizzare questo suo bene, per cui quella che era una vecchia cascina con poco giardino intorno è diventato il parco più bello d’Italia. Non lo dico io, abbiamo vinto il premio del FAI: 10 ettari di parco, una delle zone più costose d’Italia, 3000 metri quadrati, 33 mila volumi, 3 milioni di pezzi d’archivio; è un museo che con 300 mila visitatori mantiene l’economia di un intero paese, oltre che dare del lavoro a centinaia di persone. Quindi, in realtà, l’affare l’ha fatto lo Stato italiano, non D’Annunzio, che devo dire si è solo divertito a fare il Vittoriale, il suo ultimo capolavoro.»
Tra le altre immagini che circolano su d’Annunzio sulla sua personalità, c’è la fama di essere un amante delle donne. Se Lui fosse stato un uomo di questo tempo, come avrebbe conciliato la sua indole di fronte al femminismo 2.0, non quello del ’68, ma il femminismo rivendicato ai giorni d’oggi?
«Si sarebbe attualizzato e avrebbe fatto qualcosa che probabilmente non possiamo prevedere, proprio perché lui era avanti rispetto ai suoi tempi. D’Annunzio voleva una donna moderna, autonoma, decisa, gli piacevano quelle che guidavano le auto, che fumavano, che avevano un’indipendenza di comportamento insolita per l’epoca e quindi oggi le donne che rivendicano pure queste cose, si troverebbero persino al loro agio, probabilmente sposterebbero la l’asticella più in alto!»
È presente nell’ampia letteratura dell’autore qualche riferimento del suo rapporto, non solo con Pescara, ma anche con il territorio della provincia pescarese?
«D›Annunzio scrisse molto dell›Abruzzo. Basta pensare a La figlia di Iorio, per esempio, oppure a Le novelle della Pescara […]. Lui diceva che i suoi tacchi portavano la terra d’ Abruzzo: amava moltissimo la sua regione, parlava anche in dialetto, soprattutto quando si arrabbiava, amava anche i prodotti della sua terra. Dell’Abruzzo amava meno i parenti. Sembra che il motivo per cui non accettò l›offerta della città di Pescara che gli offriva un ampio terreno per fare la sua casa in Abruzzo, fu per non avere intorno i parenti. Erano, infatti, molto richiedenti, molto invadenti. Per questo scelse di costruire il Vittoriale altrove: in una zona che all›epoca era difficilmente raggiungibile […]. Nel 1898 d’Annunzio si candidò alle elezioni per la Camera, venne eletto e girò tutto l’Abruzzo (dov’era candidato, parlando anche nei paesini più sperduti per essere eletto con dei veri e propri comizi, che sono anche molto suggestivi. Io mi chiedo cosa potessero capire i pastori e i contadini dell’800 con i discorsi che faceva, proprio lui che non concedeva niente alla povertà del linguaggio!»
Dopo anni di oblio, di disconoscimento, grazie all’intuizione di Lorenzo Sospiri (attuale Presidente del Consiglio regionale), coadiuvato in principio da Albore Mascia, si è colta l’opportunità e il dovere morale e culturale di restituire a Pescara il suo legame con d’Annunzio. Siamo giunti alla settima edizione del Festival Dannunziano. Se potesse dare un voto quale sarebbe, e cosa ci potrebbe dire a riguardo?
«Intanto voglio ricordare che sì, Albore Mascia quando era sindaco mi ingaggiò per primo a rappresentare e valorizzare Pescara. Il festival attuale è sostenuto con energia e passione dall›attuale sindaco Carlo Masci, ma il motore affatto immobile, anzi molto dinamico, è stato ed è Lorenzo Sospiri, Presidente del Consiglio regionale, che ha voluto questo festival, ci ha creduto non solo come macchina culturale per diffondere la cultura dannunziana, ma anche con lo scopo di portare turismo e ricchezza a Pescara con questo evento. L›esperimento direi che ha dato ottimo esito perché anno dopo anno il festival ha sempre più successo, sempre più eventi, attira sempre più persone e quindi direi che il voto che darei 9 perché bisogna sempre lasciarsi la possibilità di fare meglio e faremo meglio. Stiamo già lavorando all›ottava edizione per l›anno prossimo. Questo ci inorgoglisce particolarmente.»
Il mestiere dello storico porta a fare riflessioni su come la storia venga insegnata, quindi su qual è il ruolo dell’insegnamento. Come viene insegnato il fascismo, cosa ci viene detto che non deve essere detto e viceversa. Lei cosa ne pensa di questo?
«La storia è il mio mestiere, ma è anche la mia passione da piccolo e non posso che sottolinearne l’importanza. La storia serve non solo a conoscere il passato, che comunque è bello, ma senza conoscere il passato non si può capire il presente. È come non sapere da dove veniamo, chi sono i nostri genitori, dove si è vissuto. Senza, non saremmo in grado di gestire bene la nostra vita. E poi, conoscendo i meccanismi che muovono la storia, perché la storia è vera e si ripete sempre ma in modo diverso, permette di prevedere con più facilità il futuro. Quindi ha una tripla funzione, passato, presente e futuro. La storia è maestra del tempo. Ho appena pubblicato un libro che si intitola “Benito” che riassume tutti i miei studi e li attualizza per rispondere alle polemiche su un possibile ritorno del fascismo, che non sarà assolutamente possibile sotto quella forma, neanche sotto forma di dittatura. Il pericolo fascista può essere la gestione di internet, dei satelliti, delle comunicazioni che in mano a poche persone possono influenzare, addirittura controllare e determinare il comportamento di vaste aree della popolazione, per cui un fascismo 4D che però bisogna vigilare e combattere, come si fa sempre con eventuali oppressori.»

Alla presentazione del suo libro, lei spiega che gli italiani sono stati più mussoliniani che fascisti. Potrebbe spiegare ai nostri lettori questa volontà?
« […] Allora, il fascismo è un regime dittatoriale da negare assolutamente, da condannare perché se ne parla sempre per la guerra, ma, in sostanza, la cosa gravissima fu la privazione della libertà di un intero popolo per vent›anni e oltre. Ecco, però era una filosofia politica complessa dove il principio cardine è che l›individuo fuori dallo Stato non conta niente e che lo Stato è tutto. Voi conoscete qualche italiano che condivida questa idea? […] Chi seguiva è perché amava le camicie nere, le braccia alzate, fare risse, manifestazioni controcorrente, ecc. , ma la filosofia politica del fascismo in realtà la conoscevano solo in pochi. Gli italiani non ritenevano affatto di non contare niente come individui fuori dallo Stato e non ritenevano che lo Stato fosse una sorta di feticcio da adorare. Noi siamo un popolo individualista, anarchicheggiante, anche un pochino disordinato, amiamo scavalcare le file, amiamo anche non pagare le tasse se possibile, lamentarsi sempre e comunque dello Stato, a torto e spesso anche a ragione, ma certamente non è quello il culto che si. Inoltre, il fascismo voleva un popolo guerriero.
Ora, noi non siamo un popolo guerriero, non lo siamo mai stati, non parliamo degli antichi romani, […] e secondo me non è un grave difetto non essere un popolo guerriero. […] Era tutto un fascismo di facciata, mentre non era affatto di facciata il culto del duce. La grande invenzione di Mussolini fu creare una religione politica. Una religione politica c’era stata soltanto brevemente durante la rivoluzione francese, in cui bisognava assolutamente credere in quel partito, in quel gruppo di potere, pena la morte, addirittura la ghigliottina.
Il fascismo di Mussolini lo ha ripristinato, infatti basta pensare ai motti “credere, obbedire, combattere” oppure “il duce ha sempre ragione”, questi sono atti di fede. Ovviamente come ogni religione il fascismo aveva bisogno di un Dio, e il Dio altro poteva essere che Mussolini. Il culto del duce, il mito del duce, in parte alimentato dal suo oggettivo fascino di oratore, di istrione e in parte, in grande parte alimentato anche dalla macchina propagandistica del regime, dal fatto che non ci fossero contraddittori, che non ci fosse una stampa libera eccetera eccetera, finì per portare una divinizzazione di Mussolini e la controprova è che quando il Dio cadde, cioè perse la guerra, gli italiani rovesciarono immediatamente questo mito.»

Professore, diciamo che questo mito è il culto della personalità, noi l’abbiamo un po’ riscontrato anche nella storia del dopoguerra, con tanti personaggi politici anche odierni.
«Beh sì, certo, abbiamo conservato il culto del capo e non solo noi. Possiamo citare esempi freschi, dall’immediato dopoguerra, il culto del capo era talmente ingombrante che se lo divisero in due, c’era da un lato Togliatti, non a caso chiamato Il Milione, poi via via Craxi, Berlusconi e in tempi più recenti Renzi con successi strepitosi e poi crolli rapidissimi, è finito. Adesso il mito ha, per la prima volta, una capa che rappresenta, non voglio dire l’uomo forte, ma la donna forte che viene amata proprio in quanto tale. Ma è così in molte culture, in molte situazioni, pensiamo al fanatismo dei repubblicani per Donald Trump: è un esempio che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni e che forse è più preoccupante del pericolo di un ritorno fascista in Italia.»
Che rapporto intercorre tra cattivo gusto e politicamente corretto?
«Il cattivo gusto è sempre detestabile da quando esiste l’essere umano, avevano cattivo gusto anche i neandertaliani, per cui è sempre esistito. Il politicamente corretto, invece è un orribile fenomeno di oggi perché iniziato su buone basi giuste, per esempio il fatto che non si potesse più dire “negro” perché negli Stati Uniti è offensivo, mentre noi italiani e anche io ho l’ho sempre detto (e mi viene ancora) senza nessuna volontà offensiva, nato così come una volontà di rispettare i difetti genetici. Imporre però di non usare certe parole, certi concetti e quindi limitare la libertà di espressione e di pensiero è una barbarie che viene esaltata senza considerare neppure che va contro la Costituzione, la tanto amata Costituzione, che è un principio di tutte le costituzioni. Se uno dice qualcosa di volgare, di sgradevole lo si contraddice ma deve avere la possibilità di dirlo senza avere una censura a priori. D’Annunzio, di questo ne sono certo, avrebbe combattuto furiosamente contro il politicamente corretto. Era un libertario.»
Nell’immediato futuro, quali sono le novità che ci dobbiamo aspettare da “la Fondazione del Vittoriale”, dal “Festival Dannunziano”, ma anche dal Giordano Bruno Guerri come scrittore (che abbiamo visto recentemente anche nel ruolo di attore nel film “Duse”)?
«Mi sono molto divertito, anche perché Pietro Marcello è un grande regista e ho recitato affianco a un’altra grande attrice e regista che è Valeria Bruni Tedeschi. È stata una bellissima esperienza, mi dicono anche ben riuscita. Nessuno mi ha stroncato come attore. […] Per quanto riguarda le mie attività personali: sto terminando un libro sui futuristi, edito da Rizzoli. Quanto al Vittoriale, ad ottobre inizieremo la più grande impresa di restauro mai fatta: il restauro completo del Mausoleo e dell’Auditorium. Il Festival Dannunziano abbiamo pensato di portarlo anche fuori dalla città di Pescara, come a L’Aquila, e l’idea di allargarlo a tutto l’Abruzzo prenderà corpo ancora di più l’anno prossimo.»
Remo di Leonardo & Arianna Trosini















