Nelle mani di San Brunello. Cresce l’attesa per i colloqui e le assunzioni di Cucinelli: sperano in 250 almeno

In questo mese di maggio, la Pinturicchio srl, che ha incorporato la Raffaello srl disponendo di un milione di capitale sociale e posseduta totalmente dalla Brunello Cucinelli spa, comincerà i colloqui per assumere la nuova forza lavoro e rispettare così la previsione di raddoppiare il fatturato entro il 2030, producendo il doppio dei capispalla e degli abiti sartoriali maschili.

Le maestranze si accomoderanno, è il caso di dirlo, nei 4.500 metri quadrati della “bella fabbrica” di Penne, pronta per inizio estate, da cui si ammira il Gran Sasso, nella zona del ponte di Sant’Antonio. Senza dimenticare quello che si annuncia più come un buon ristorante mascherato da mensa. Decine e decine le richieste arrivate e che stanno ancora giungendo nel quartier generale perugino che del lusso nell’abbigliamento ha fatto la sua missione fin dal 1978.

“Sono in attesa di colloquio, ho al mio attivo un bagaglio professionale acquisito negli anni di Brioni da cui sono dovuta uscire. Credo ad una chiamata, devo crederci: sono lontana dalla pensione ed ora sono costretta ad assistere una persona anziana per sopravvivere”, spiega un’anonima sarta che ha riposto tutte le sue speranze di vita in una chiamata del gruppo umbro. Nella sua stessa condizione, Lacerba ne conosce almeno un’altra cinquantina. Cucinelli dovrà ingaggiare almeno 250 unità, dopo aver cominciato a lavorare alla fine del 2023 con il centinaio di maestranze qualificate già occupate.

Da dove salteranno fuori quelli che passeranno nel libro paga di un gruppo quotato in Borsa i cui affari vanno a gonfie vele? I primi a essere assunti saranno con ogni probabilità coloro che lavoravano appunto in Brioni e che hanno una certa esperienza come la signora che si è così espressa. Quindi, i sarti e le sarte che alimentano i diversi contoterzisti della zona: ormai è chiaro, tutti vogliono Cucinelli e i primi a pagarne le conseguenze sono proprio le piccole aziende del territorio.

Non ultimi quei dipendenti di Brioni ingolositi probabilmente dalle sirene economiche di un gruppo che notoriamente paga molto bene i suoi collaboratori. Si ha un bel dire di “Penne città della sartoria artigianale”, grazie alla legge regionale fortemente spinta da Leonardo D’Addazio, consigliere abruzzese di Fratelli d’Italia, dipendente di Brioni dal 2000 e sindacalista della Cisl; ma intanto scarseggiano i sarti.

 

 

Eppure Brunello Cucinelli ha deciso di investire da queste parti proprio per sfruttare il patrimonio delle competenze acquisite in decenni di attività sartoriale. Cosa sta succedendo? Succede che le ultime assunzioni in Brioni risalivano al 2008, poi dall’anno successivo cominciarono ad essere utilizzate le forbici non solo sui tessuti di gran pregio, ma anche sul personale. Fino al 2006 con Lucio Marcotullio al timone tutto ciò non si era mai visto. Altri tempi, certo. Una riduzione di organico per crisi aziendale che dal 2012, con l’epocale cambio di proprietà (arrivarono i francesi di monsieur Pinault prima con PPR poi con Kering), ha visto andarsene più o meno 500 persone in un decennio.

Dieci anni dopo nessuno mai avrebbe ipotizzato che a Penne e nell’area vestina vi potesse essere ancora spazio per assunzioni nella sartoria di lusso o comunque anche in quelle che lavorano per i grandi marchi. Il sarto è apparso così un mestiere in via di estinzione. Una crisi generazionale evidente, insomma. E invece è piovuto dal cielo San Brunello. È sempre più attuale allora la necessità di creare le condizioni affinché la sezione Moda del Liceo Artistico e la scuola di alta sartoria “Nazareno Fonticoli”, rilanciata in grande stile da Brioni, sfornino mani ed occhi capaci di lavorare con precisione e dedizione sugli abiti.

“Le parole operaio e sarta sono poco amate oggi. Spesso sento lodare il ruolo degli operai – spiegò a Penne Brunello Cucinelli. La verità è che vorremmo che fossero sempre i figli degli altri a diventare operai o sarte. Marchi e aziende come la nostra non avrebbero futuro senza operai e sarte, ma bisogna ridare dignità economica a questi lavori, come ripeto da molti anni. Se dai a un operaio 1.700 euro invece di 1.200, a lui cambi la vita, a te imprenditore quanto incide sull’azienda? Pochissimo. Stipendi, dunque, dignitosi. Ed equilibro tra vita e lavoro. Direi che possiamo permettercelo e anzi essere orgogliosi di usare così i margini di redditività”.

Antonio De Matteis, amministratore delegato di Kiton, è sulla stessa lunghezza d’onda e offre la sua ricetta. “Se vogliamo attirare e trattenere personale, dobbiamo pagarlo il giusto. I nostri sono dati consultabili a bilancio. Il costo medio per addetto del gruppo Kiton è tra i 42 e i 43.000 euro, mentre molti colleghi si attestano nella media 23-27.000”.

Nel frattempo Brioni, dove è appena giunto Federico Arrigoni come amministratore delegato, ha ripreso a correre. Le vendite stanno tornando a buon livello. E sta mettendo in campo colloqui preventivi finalizzati alle assunzioni: ciò vuol dire che, come riferiscono fonti sindacali, sta cercando le condizioni per non farsi trovare spiazzata da eventuali trasferimenti. Ma il vecchio marchio di abbigliamento vestino-romano sta tentando di fare anche di più.

Ha aderito al programma Gol ed ha rimesso in campo il contratto integrativo, da tempo sospeso. Si traduce in più euro a disposizione. E per Natale i lavoratori di Brioni hanno trovato nel portafoglio almeno 450 euro netti (per chi ha figli a carico, 250 per chi non ne ha). Il problema è che però gran parte delle sue maestranze continua a lavorare ancora 36 ore settimanali, a fronte delle normali 40 che sono appannaggio soltanto di chi venne assunto fino al 1995.

Tutto ciò porta già a perdere rispetto a Cucinelli il primo 10%. Non solo: in Umbria la struttura salariale del dipendente beneficia di un elemento retributivo aggiuntivo che si aggira sui 200 euro più o meno netti. Intanto, Zilli basato a Cappelle sul Tavo assume sarti ed operai anche con poca esperienza. 

 

Berardo Lupacchini

 

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