STORIA DI NAJIB, DALL’AFGHANISTAN ALL’ABRUZZO, IN FUGA DAI TALEBANI

PIÙ DI UN ANNO FA DEDICAMMO IL NUMERO DE LACERBA ALL’INTEGRAZIONE ED IN QUELLA OCCASIONE SCOPRIMMO LA STORIA DI NAJIB, UN PROFUGO ACCOLTO IN TERRA VESTINA, TRA PENNE E LORETO APRUTINO. OGGI VIVE A MILANO E NON HA PIÙ NOTIZiE DELLA SUA FAMIGLIA RIMASTA IN AFGHANISTAN.  VI RIPROPONIAMO LE SUE PAROLE RACCOLTE DAL SUO MAESTRO D’ITALIANO  E FIRMA STORICA DE LACERBA GIANFRANCO BUCCELLA. LO FACCIAMO PERCHÉ SE SIAMO SCETTICI RIGUARDO I MIRACOLI, CREDIAMO ANCORA NELLE BUONE AZIONI E CHISSÀ…MAGARI QUALCUNO CHE POSSA AIUTARE NAJIB LO TROVIAMO!

“Voglio raccontarvi la storia di Najib. Sì perché io così chiamo Khatir Najibullh da quando l’ho conosciuto. Forse per un’esigenza di sintesi vocale, forse per occidentalizzare un nome che evoca nel finale il Profeta Musulmano o, forse ancora, perché ho dal primo momento stabilito con lui un rapporto così amichevole che tende a ricambiare la sua stima nei miei confronti. Najib è nato in Afghanistan nella provincia di Paktika, distretto di Yusuf Kehl e in Italia dal primo novembre del 2015. Sua moglie è rimasta in Afghanistan con ben quattro figli; l’ultima è nata quando lui era già arrivato in Italia. Seimila chilometri percorsi a piedi, di notte, partendo l’11 agosto 2015 dal villaggio per arrivare a Kabul, poi Kandhahar, poi Nimhoz, attraversando Iran, Turchia, Bulgari, Serbia, Ungheria, Austria fino ad arrivare a Trieste. Prima di allora Najib non era mai uscito dal suo Paese. Musulmano Sunnita, inviso quindi ai Talebani, vendeva televisori, occupandosi anche dell’installazione di antenne paraboliche nel villaggio di Yusof Kheyl. Già questa attività lo metteva in cattiva luce ai Talebani poiché era considerata illegale e il controllo delle comunicazioni via etere per loro è uno degli obiettivi primari. Anche suo padre aveva un negozio di telefonia a Kabul. Ha due sorelle e tre fratelli anche se uno di loro fu ucciso dai Talebani alla fine del 2014. Ha studiato per nove anni ma conosce ben cinque lingue: inglese, pashto, farsi, urdu e indi , ovviamente per noi lingue di cui ignoriamo l’esistenza ma comunemente parlate da milioni di persone. Nel 2015 due cugini, figli di uno zio paterno, uno zio,figlio del nonno materno, con altri due cugini ed un autista furono uccisi dai Talebani.

Ma…per quali ragioni hai lasciato l’Afghanistan NajibNon ho lasciato l’Afghanistan per motivi di lavoro, pur sapendo che il mio veniva considerato illegale dai Talebani. Alle spalle del mio paese ci sono le montagne e casa mia era presidiata dai Talebani. Non c’erano nei pressi né l’esercito afghano,  né la polizia, né gli americani. Un giorno, dopo aver chiuso il mio negozio stavo tornando a casa emi sono fermato nel distretto di Yosof Khel per acquistare della verdura e , nel mentre, ho sentito una forte esplosione. Non mi sono preoccupato più di tanto, essendo purtroppo abituato a tali fragori, ho ripreso così il mio scooter e mi sono diretto verso casa. Lungo il tragitto, dopo aver ripreso la strada principale, mi sono imbattuto in un ingorgo con la presenza di poliziotti e diverse persone. L’esplosione si era verificato in quel punto ed una bicicletta tutta rotta era riversa a terra. A poca distanza i corpi esanimi di due miei cugini. Sono svenuto. Alle 22.30 mi sono risvegliato all’interno del Yosof Kheyl clinic dove erano stati portati anche i corpi dei miei cugini e di mio zio. La polizia ha redatto un regolare rapporto sull’attentato e subito dopo è stato possibile riportarne i corpi prima a casa mia, ai piedi della montagna e successivamente nella vicina moschea. Verso le 23.30 ho mandato qualcuno ad avvisare amici e parenti relativamente all’attentato e al funerale che si sarebbe svolto il giorno dopo. Per tutta la notte i corpi sono rimasti all’interno della moschea e nessuno di noi poté dormire per il grande dolore. Verso l’una di notte sono uscito di casa per fumare una sigaretta e, guardando verso il cimitero ho notato delle luci che ad intermittenza irregolare si accendevano e si spegnevano. Nessuno di noi era andato al cimitero a quell’ora pertanto ho cominciato ad avere dei sospetti e della preoccupazione. Ho subito avvertito mio padre e con lui ci siamo avviati verso il cimitero. Lo abbiamo perlustrato in lungo ed in largo e alla fine abbiamo visto una tomba profanata da cui partiva un lungo filo legato con dello scotch nero. All’indomani a quel funerale sarebbero intervenuti i governatori della zona insieme alla polizia e a tanta altra gente per cui ci sembrava opportuno avvertirli tutti ma le linee telefoniche erano fuori uso. Per fortuna ne avevamo una privata ed ho così potuto avvertire la polizia facendo il 119 e raccontando ciò che avevamo visto al cimitero. Mi hanno risposto che in quel momento non potevano intervenire per cui mio padre mi suggerì di avvertire Ibrahim Alikhail , capo della polizia segreta, mio coetaneo e compagno di scuola. Ibrahim, la mattina, ha subito predisposto due carrarmati a ridosso delle montagne, uno davanti casa mia ed uno nei pressi di una abitazione vicino al cimitero. E’ arrivato l’esercito per rimuovere tre grandi mine predisposte nel cimitero e le tracce di un telecomando posto all’interno della casa prospiciente il cimitero stesso. Sono andati tutti via e solo allora è stato possibile celebrare il funerale.  Qualche anno prima, all’interno della tomba del padre di Ibrahim, avevano predisposto un ordigno esplosivo e, mentre celebravano il funerale di un cugino, avevano fatto esplodere una mina. Ibrahim si salvò così come si era salvato in varie altre identiche situazioni. Ibrahim si prodiga molto per il nostro paese ed è sempre stato preso di mira dai Talebani. Per due tre mesi la situazione è stata tranquilla. Poi sono tornati i Talebani a casa di mio padre per rapire mio cugino. Gli anziani del villaggio, mio nonno ed io siamo partiti per i villaggi di Kharbeen e Disi per andare alla ricerca delle ragioni di tale rapimento e per cercare di fare una mediazione per il rilascio. Quando gli anziani e mio nonno sono arrivati hanno  visto mio cugino che era stato picchiato selvaggiamente. Addirittura gli avevano strappato le unghie delle mani e dei piedi con le pinze per cercare di carpirgli il nome di chi avesse avvisato la polizia o l’esercito del fatto che i talebani avevano minato il cimitero. Chiunque a quel tipo di tortura non avrebbe potuto resistere e perciò mio cugino fu costretto a fare il mio nome e quello di Ibrahim Alikhail. A quel punto mio nonno cominciò ad implorare i Talebani di lasciarlo andare ma loro gli mostrarono il video delle dichiarazioni fatte da mio cugino e lo accusarono di essere un infedele amico degli americani. Mio nonno tornò a casa e mi disse subito che i Talebani gli avevano raccontato delle cose sul mio conto, che ero una spia ed amico di Ibrahim Alikhail, che vendevo le antenne paraboliche e che mi avrebbero ucciso ovunque mi avessero trovato. Mio cugino fu rilasciato. Mia madre e mio padre mi consigliarono allora di lasciare il villaggio ed io andai a nascondermi a casa dei miei suoceri ad Aaqadari Yosufkel,  portando il mio Kalashnikov per gestire la sicurezza della mia famiglia, per una ventina di giorni. Mio nonno era una persona semplice , diceva sempre ciò che pensava e cominciò così a parlar male dei Talebani dicendo che erano spie del Pakistan. Solo dopo qualche giorno anche lui fu ucciso. Mio padre allora mi consigliò di andare a Gazni dove abbiamo delle terre. Partii per Gazni con una vettura di colore verde. I talebani della mia zona avvertirono altri Talebani che a metà strada avrebbero dovuto bloccare una macchina di colore verde. Per fortuna io ero già passato e al mio posto fu fermata una macchina verde di marca tedesca il cui conducente fu rapito e poi rilasciato. Quando mio padre venne a sapere  di quel rilascio mi disse subito di lasciare il Paese anche se io non volevo abbandonare la mia famiglia. Avrei preferito collaborare con Ibrahim Alikhail e combattere per la causa, ma mia madre mi disse che se mi fossi unito alla polizia segreta ad ogni scoppio di bomba sarebbe morta di paura. Per questo ho deciso di lasciare l’Afghanistan! Dove andare? In Pakistan muoiono tanti afghani, tanto valeva morire nella propria casa! In India dopo qualche mese sarei dovuto tornare indietro! Ed allora l’unica strada che mi si apriva era quella dell’Europa.

Raccontami a questo punto il tuo viaggio verso L’Europa, anche se mi rendo conto che chiamarlo viaggio potrebbe assolutamente essere improprio. Sono partito l’11 agosto 2015, sono andato a Kabul, poi Kandahar, NImhoz, Iran, Turchia, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Austria ed infine l’Italia. Era il primo di novembre 2015. Seimila chilometri a piedi, camminando di notte e riposando di giorno. Ho attraversato molti paesi , a piedi. Sono partito che indossavo un 41 di scarpe per arrivare al 43. Nell’animo sono passati tutti i pensieri, tutte le paure, tutte quelle sensazioni che un uomo può provare dal caldo al freddo, dalla speranza alla disperazione più cupa. In Ungheria sono stato anche imprigionato, ma sono riuscito a fuggire.

Di quali altri fatti sei venuto a conoscenza  sulla tua famiglia dopo l’arrivo in Italia? Ho avuto ed ho contatti con mio padre che mi ha riferito che Nazar Muhamad è il capo dei Talebani e che il suo soprannome è Wafadar conosciuto da tutti. Lui attualmente sta a Quatta in Pakistan. Dal Pakistan ha chiamato mio padre e gli ha detto che hanno provato ad uccidermi per ben quattro volte e che prima o poi lo faranno.  Attualmente la mia famiglia, mia moglie ed i miei quattro figli vivono con mio padre che oramai sta diventando anziano. Lui deve sostenerli economicamente, portare i ragazzi a scuola a circa 7 Km dal villaggio. La strada è molto pericolosa pertanto non sempre i miei figli possono assicurare la loro presenza  a scuola.Miopadre ha molto da fare e mi ha detto che dopo cinque anni lui non ce la fa più a sostenere la mia famiglia, ma loro non possono lasciare il Paese ed io sono impossibilitato a tornare. Tra l’altro la mia condizione, dopo la pubblicazione sulla mia pagina Fb del video con il Presidente Mattarella, dal punto di vista dei Talebani,è di gran lunga peggiorata, non solo per me ma anche per tutta la mia famiglia. So che alcuni miei paesani sono andati da mio padre  a dirgli che io ho lasciato l’Afghanistan per diventare cristiano Per loro mi sarei convertito e questo particolare non è sfuggito ai Talebani che continuano a minacciare la mia famiglia. Vorrei tanto portare la mia famiglia in Italia e dare ai miei figli un’istruzione ed una formazione qui in Italia ma questo finora è impossibile.

Ma per quale ragione i tuoi cugini e tuo zio sono stati uccisi dai Talebani? I miei cugini e mio zio unitamente all’autista facevano parte della polizia locale. Quel giorno andavano ad una festa familiare organizzata dal loro autista. In un punto del percorso in cui la strada si restringeva e le macchine erano costrette a rallentare i Talebani avevano preparato e fatto questo attentato. I due miei cugini erano i segretari del comandante della caserma di Yosukhel ed avevano pertanto un ruolo importante.

Perché sei stato ricevuto dal Presidente Mattarella? Con la Cogecstre di Penne avevo partecipato ad un progetto per l’Ambiente e Mattarella, in occasione del 50esimo della fondazione del WWf ci ha ricevuti a Roma per un premio. In quell’occasione il Presidente mi ha fatto i complimenti per il percorso di inserimento e di integrazione che avevo avviato e concretizzato con il centro di accoglienza del LAPISS di Penne. Di quella occasione conservo un video che ho postato sulla mia pagina Fb e che mi ha procurato ulteriori guai in Afghanistan.

E perché non hai mai pensato di andare in un altro Paese europeo dove potresti avere maggiori opportunità? Anche prima sarei potuto andare in altri paesi ed oggi col riconoscimento del mio stato di rifugiato potrei andare dappertutto in Europa ma a me è sempre piaciuta l’Italia. Quarantacinque anni fa il nostro Re,  Zahir Shah, in esilio in Italia per 29 anni, aveva scritto un libro in cui si descriveva molto bene sia l’Italia che gli italiani ed io amavo l’Italia prima ancora di vederla per cui oggi per niente al mondo lascerei questo Paese.

Oggi Najibullah ha 31 anni e, dal suo racconto possiamo dedurre che lui è figlio di questa nostra terra prima ancora di nascere. Ha incontrato a Collalto di Penne, quando era ospite del Lapiss due splendide persone: Giselda ed Amerigo che lo hanno accolto come un figlio. Per Najib questi sono la sua mamma ed il suo papà in Italia ed ogni volta che li va a trovare si scambiano abbracci, confidenze e preoccupazioni. Il suo racconto ci fa riflettere e noi su queste pagine non vogliamo che la speculazione politica di destra e di sinistra prenda il posto del racconto stesso. Racconto che vuole solo testimoniare questo nostro momento storico con tutte le finestre aperte verso un mondo che non riusciamo a governare e, a volte, neppure a comprendere.

Buona fortuna amico Najib!“

 Gianfranco Buccella 

 

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