UN LIBRO CHE FA NOMI E COGNOMI
La storia segreta del sanguinoso sequestro Gancia: un’inchiesta giornalistica consente alla procura di Torino di riaprire le indagini su come morirono il carabiniere pennese Giovanni D’Alfonso e la brigatista Margherita Cagol  

Cosa accadde esattamente in quel 5 giugno 1975 quando il re degli spumanti Vittorio Vallarino Gancia venne sequestrato dalle Brigate rosse a scopo di estorsione tra Canelli ed Acqui e quasi subito liberato in un controllo dei carabinieri forse non casuale alla cascina Spiotta di Melazzo?Una vicenda drammatica mai chiarita davvero, anzi. Una storia ricca di omissis finita al centro di un libro d’inchiesta firmato da due giornalisti, Berardo Lupacchini e Simona Folegnani (“Brigate Rosse. L’invisibile”. Dalla Spiotta a via Fani, dal rapimento Gancia al sequestro Moro, editore Falsopiano), appena uscito nelle librerie e in rete.
Dopo alcuni anni di lavoro su documenti, fatti e personaggi sono emersi nuovi elementi capaci di illuminare un episodio assolutamente non secondario della storia degli anni di piombo e che invece rappresenta un momento piuttosto significativo rispetto a ciò che diventarono le Brigate rosse che, sotto il comando di Mario Moretti, assassinarono dapprima a Genova il magistrato Francesco Coco, sequestrarono con successo l’armatore Pietro Costa, e poi progettarono il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro e della sua scorta. Nella fulminea liberazione di Gancia, culminata con una sparatoria, perse la vita Giovanni D’Alfonso, un carabiniere 45enne anni nativo del rione San Comizio di Penne, padre di tre bambini, in servizio nella compagnia di Acqui Terme da un mese. Morì anche Margherita Cagol, la brigatista fra i componenti del nucleo storico dell’organizzazione, moglie di Renato Curcio.
La dinamica di quel conflitto a fuoco che portò alla liberazione di Gancia, poco meno di ventiquattro ore dopo il suo rapimento, è stata messa ai raggi X nel libro. A partire da come e perché il tenente Umberto Rocca, alla guida della compagnia acquese dell’Arma, formò quella pattuglia e si mise alla ricerca dell’industriale imprigionato nel pomeriggio del 4 giugno a Canelli e segregato in una cascina alle porte di Acqui da anni covo brigatista. L’arresto di Massimo Maraschi, l’unico del gruppo dei rapitori che ha pagato il pesante conto con la giustizia, ma che il 5 giugno ’75 era già da alcune ore nelle mani dei carabinieri, aggiunge ulteriori elementi di discussione sulla oscura vicenda. L’uccisione di D’Alfonso e della Cagol, oltre alla menomazione permanente di cui è rimasto vittima l’allora tenente Rocca (medaglia d’oro ancora vivente con il grado di generale), ha posto degli interrogativi cui si aggiungono quelli sull’identità, mai scoperta dall’indagine e dai processi che ne seguirono, del complice della brigatista riuscito a fuggire nonostante anche lui si fosse arreso al carabiniere in borghese che li teneva sotto tiro.
L’inchiesta storico-giornalistica di Folegnani e Lupacchini offre delle risposte credibili suffragate da una inedita documentazione anche rispetto al ruolo svolto dal Sid, il servizio segreto militare del tempo guidato dall’ammiraglio Mario Casardi e soprattutto dal generale Gian Adelio Maletti, capo del controspionaggio. Una talpa infiltrata nelle Br era attiva da un anno e dunque anche nei giorni del sequestro Gancia di cui si occupò anche e non solo il famoso nucleo speciale dell’Arma governato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Insomma, il sequestro Gancia può essere legittimamente considerato un altro inquietante mistero italiano di cui, grazie al libro, si sa senz’altro di più. Un libro che fa nomi e cognomi. E chi sa è ancora vivo. A partire da Mario Moretti e Renato Curcio. Per Bruno D’Alfonso, secondogenito dell’appuntato martire del terrorismo, da allora desideroso di saperne di più, ma molto di più , un serio contributo alla sua richiesta. La procura della Repubblica di Torino ha riaperto il caso. 

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