QUANTO APPARE LONTANA LA GIUSTIZIA
Luca Palamara ne scrive da ora per noi

di Luca Palamara

Nel recente dibattito politico è tornato di modo il tema delle intercettazioni ampiamente ripreso in questi giorni da tutti i media. Da una parte i colpevolisti (cinquestelle, parte del partito democratico, sinistra giudiziaria ed organi di informazione ed intellettuali o pseudo-tali di riferimento) gridano allo scandalo per le parole pronunciate dal ministro Nordio. Dall’altra parte i garantisti (per esclusione tutti quelli non compresi nello schieramento precedente
esultano).
Come stanno veramente le cose? E soprattutto è possibile affrontare la questione senza ipocrisia?
Procediamo con ordine.
È indubbio che le intercettazioni, sia telefoniche che ambientali, si siano dimostrate un formidabile strumento per combattere mafia, terrorismo e corruzione ma come tutti gli strumenti invasivi deve essere maneggiato con cura soprattutto quando incidono su diritti costituzionalmente tutelati.
Il progresso delle tecnologie di captazione delle conversazioni permette di sottoporre l’individuo ad un penetrante controllo sulla sua vita che si estende ai luoghi di privata dimora e ai soggetti che stanno vicino alla persona intercettata, senza escludere la possibilità che questi ultimi a loro volta possano essere titolari di immunità e di garanzie costituzionali.
Vale la pena ricordare che per la compressione di diritti considerati inviolabili, quale deve essere considerata la possibilità di comunicare liberamente, le moderne costituzioni esigono una riserva di legge ed una autorizzazione giudiziale nel rispetto del principio di proporzionalità.

La mancata osservanza di queste garanzie procedurali va, pertanto, considerata come violazione di un divieto (implicito) di acquisizione del dato probatorio. Il rischio, ragionando diversamente, è quello di lasciare alla polizia ampi spazi di iniziativa informale e atipica, con l’uso di strumenti invasivi della sfera intima della persona.
Tra i compiti dello Stato vi è sicuramente quello di mettere in sicurezza i sistemi informatici onde evitare che la rilevante mole di informazioni acquisite tramite le intercettazioni possa poi essere utilizzata per finalità estranee alle indagini. Infatti,
come ad esempio avviene nel caso del trojan i dati raccolti sono trasmessi, per mezzo della rete internet, in tempo reale o ad intervalli prestabiliti ad altro sistema informatico in uso agli investigatori. In maniera alquanto discutibile, lo Stato ha deciso di affidare questa attività ad aziende private, proprietarie dei software oppure solo locatarie, con azionisti noti o addirittura in alcuni casi con dei prestanome (in un caso figurava essere titolare dell’azienda la moglie di un poliziotto).

Milena Gabanelli sul Corriere della Sera del 14 luglio del 2019 ha lucidamente fotografato la situazione evidenziando che le imprese del settore sono 148, dotate in alcuni casi di management di livello, ma in altri casi anche senza dipendenti.
Il costo delle intercettazioni è la voce più rilevante delle spese degli uffici giudiziari: circa il 90% dei fondi destinati dal bilancio dello Stato alle spese di giustizia finisce per essere destinato alle spese per le intercettazioni . Più delle metà delle spese è
concentrata in cinque distretti: Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Milano e Roma. Il numero totale delle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche è di 180.000.

Le intercettazioni telefoniche rappresentano per numero dei bersagli l’80% del totale (130 mila). È sovente accaduto che nonostante la loro segretezza le conversazioni intercettate siano state poi integralmente pubblicate da organi di informazione e da giornalisti in stretto contatto con gli uffici delle Procure della Repubblica titolari delle indagini. Si può partire da calciopoli del 2006, quando l’Espresso pubblicò il famoso “libro nero”, per poi parlare della diffusione dell’audio Berlusconi-Sacca’
nell’indagine sulla compravendita di voti a Napoli; della intercettazione Fassino-Consorte nell’inchiesta Unipol; della diffusione delle telefonate Adinolfi-Renzi nell’inchiesta sulla CPL Concordia; della diffusione degli interrogatori nell’inchiesta Consip;
della diffusione delle intercettazioni nell’inchiesta perugina sul CSM; della recente indagine sulla fondazione Open di Matteo Renzi.

E gli esempi potrebbero tranquillamente continuare. È indubbio che in questi casi la pubblicazione non serviva a garantire
il sacrosanto diritto alla informazione ma, invece, a creare una sorta di gogna mediatica soprattutto nei casi in
cui le indagini hanno coinvolto uomini politici.
In conclusione che il Ministro Nordio voglia mettere mano a questa situazione deve essere salutato non come una vittoria dei garantisti ma come una vittoria dello Stato costituzionale di diritto. Quello che appunto nettamente separa il ruolo del processo penale evitando che la magistratura possa essere trascinata sul terreno della contrapposizione politica.

Articoli correlati

Pin It on Pinterest

Share This