Inchiesta D’Alfonso
LA TALPA ROSSA

(Nella foto il procuratore aggiunto di Torino Emilio Gatti)

CHI ERA LA FONTE FRILLO SCOPERTA DA UN LIBRO-INCHIESTA: UN OPERAIO VENETO INFILTRATO DAL SID NELLE BRIGATE ROSSE PRIMA, DURANTE E DOPO IL SEQUESTRO GANCIA. E COSÌ LA PROCURA DI TORINO STA PER CHIEDERE IL PROCESSO PER LE OMBRE DEL 5 GIUGNO ‘75 SULLA MORTE DI GIOVANNI D’ALFONSO

C’era un operaio negli anni di piombo con il doppio volto: brigatista rosso e spia per conto dello Stato. Lavorava al Petrolchimico di Porto Marghera ed ha avuto un ruolo chiave nella lotta all’eversione rossa: ha mandato in galera brigatisti del calibro di Renato Curcio, Nadia Mantovani e Giorgio Semeria. L’ha fatta franca per nove anni invece Mario Moretti, arrestato solo nel 1981 dalla Polizia e non dal mitico Nucleo Speciale dell’Arma guidato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Nome in codice: fonte Frillo. Leonio Bozzato non ha fatto per sua fortuna la fine di Guido Rossa, il purtroppo famoso operaio comunista assassinato dalle BR a Genova nel gennaio 1979 per aver denunciato un fiancheggiatore dei brigatisti all’Italsider: quel Francesco Berardi che poi si suicidò in carcere a Cuneo. Bozzato venne reclutato dal Centro di controspionaggio di Padova, ovvero dal Servizio Informazione Difesa, nel 1971 e poi infiltrato nel gennaio ‘75 all’interno delle Brigate Rosse.

Era un irregolare, cioè non in clandestinità, poiché manteneva un’esistenza normale con casa, lavoro e famiglia, ma comunque raggiunse un tale livello di credibilità ed affidabilità dentro le gerarchie delle BR che gli permise di essere messo a conoscenza di una marea di fatti, circostanze e personaggi. Ecco perché è riuscito a mettere in crisi con le sue delazioni mirate l’organizzazione: nel ‘76 Curcio, Mantovani e Semeria furono imprigionati, lasciando via libera alle nuove Brigate Rosse di Moretti, Azzolini, Bonisoli, Morucci, Braghetti, Faranda, Balzerani e Gallinari proiettate verso il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro, nel ‘78. Sulla figura di Bozzato ha acceso le luci per la prima volta il saggio d’inchiesta di Simona Folegnani e Berardo Lupacchini “Br. L’invisibile” (editore Falsopiano), ma ancor più quello in uscita, sempre degli stessi autori, nei prossimi giorni: “Radiografia di un mistero irrisolto. Le Brigate Rosse e il rapimento Gancia”, edito da Bibliotheka.

Perché l’operaio mestrino sapeva del sequestro di Vittorio Vallarino Gancia durato poco meno di 24 ore e finito in tragedia il 5 giugno ‘75 con la liberazione dell’ostaggio che valeva un miliardo di lire. La sua infiltrazione ha prodotto numerosi rapporti informativi spediti da Padova a Roma, vale a dire al reparto D del Sid coordinato dal generale Gianadelio Maletti. L’inchiesta giornalistica trascritta nei testi ha ricostruito con una certa attendibilità le fasi del sequestro: dall’ideazione, allo svolgimento, alla conclusione. Un lavoro a 360 gradi, senza omissioni. Da una parte il doppio binario investigativo dei carabinieri: quelli locali da una parte, quelli del Nucleo Speciale e del Servizio Segreto dall’altra. Un corto circuito sfociato nella morte del carabiniere pennese Giovanni D’Alfonso, reclutato in una pattuglia di quattro militi fra cui uno in borghese che non casualmente raggiunse la cascina Spiotta vicino Acqui luogo di reclusione dell’industriale: il pennese venne ucciso nello scontro a fuoco da Margherita Cagol, a sua volta colpita a morte in circostanze ambigue che il libro ha tentato di guardare con un occhio diverso; e dal suo ignoto complice che, secondo gli elementi raccolti fra le quali la testimonianza di Enrico Fenzi, parrebbe proprio Mario Moretti che anche fisicamente risponderebbe all’identikit fatto dai testimoni oculari del tempo.

(Mara Cagol)

Due dei tre figli di D’Alfonso, Bruno e Cinzia, due anni fa hanno chiesto alla Procura della Repubblica di Torino di riaprire le indagini per cercare di far luce su chi fosse il brigatista riuscito a darsi alla fuga. Nonostante l’infiltrato, all’epoca non si indagò più di tanto: perché? Qualche sospetto buttatogli addosso da un paio di pentiti, investì Lauro Azzolini, il molto aitante terrorista reggiano oggi ottantenne (e dopo 26 anni di carcere duro), dissociatosi dalla lotta armata, che nel 1987 venne scagionato dopo dieci anni di accuse dal giudice di Alessandria. Ma il fascicolo relativo è sparito nel nulla!E da sei mesi è di nuovo indagato per quella vicenda: le sue impronte sono state scoperte sulla relazione del misterioso brigatista inoltrata a Curcio che spiegava il contesto che portò alla morte di sua moglie, Margherita Cagol. Con lui è indagato anche il 78enne Pierlugi Zuffada, le cui impronte sono state riscontrate sulla lettera che richiedeva il riscatto alla famiglia di Gancia.

(Giovanni D’Alfonso)

Nel mirino anche Curcio di 82 anni (28 dei quali trascorsi in galera) che di quel sequestro fu l’ideatore, per sua stessa ammissione in un suo libro, insieme alla consorte e a Moretti ancora in un regime di semidetenzione dopo gli ergastoli ricevuti. Quest’ultimo nelle proprie memorie rivelò persino di aver gestito insieme alla Cagol quel sequestro pieno di ombre da ambo gli schieramenti. Ed altri elementi contenuti nel libro provano a sostenere l’accusa di essere lui quel mister x sfuggito ai carabinieri, quanto meno dal punto di vista storico. Moretti ha declinato l’invito a parlare con gli autori: forse dovrà farlo alla sbarra. La Procura della Repubblica si avvia nei prossimi giorni a chiedere un dibattimento per concorso in omicidio, non prescritto secondo la sua versione. Ha già formulato a maggio, per far riaprire le indagini su Azzolini, un capo di imputazione provvisorio per i succitati ex brigatisti. Una strategia anche per spaccare il muro di omertà costruito allora e che, sia pure un po’ sgretolato, resiste ancora. Se un Giudice delle indagini preliminari darà il via libera al processo, la Corte d’Assise di Torino lo ospiterà in primavera. 

(Moretti)

 


 

Articoli correlati

Pin It on Pinterest

Share This