GENESI DI UN DISASTRO
Farindola: quel giorno di quasi sei anni fa a Rigopiano: cause e responsabilità dei 29 cadaveri. Colloquio con il geologo Gabriele Graziosi

Perché sin da subito ha sostenuto che la concausa determinante per la valanga di Rigopiano del 18 gennaio 2017 è stato il terremoto di quel giorno, contraddicendo in tal modo le conclusioni dei periti nominati all’epoca dal Tribunale di Pescara?

“Perché se così non fosse stato avremmo dovuto avere memoria storica di numerose altre valanghe del genere; almeno tante, quante sono state negli ultimi cento anni le nevicate simili a quelle di gennaio 2017, se non addirittura più importanti per la quantità di neve cumulata in zona di distacco. Pertanto, ribadisco ancora una volta, confortato anche dal parere del compianto prof. Enzo Boschi, la mia convinta avversione alla tesi sostenuta dai periti sulla mancata correlazione tra sismicità e valanga, specie quando affermano che la stessa ci sarebbe stata comunque anche senza terremoto; caso mai è l’esatto contrario: senza il terremoto una valanga di quelle proporzioni non ci sarebbe mai stata”.

Perché sostiene che una valanga normale, cioè in assenza di terremoto, dalla potenziale zona di distacco alle falde di Monte Siella non avrebbe mai raggiunto in fase di arresto-accumulo la zona di Rigopiano?

“Nel nostro caso, pur ipotizzando alle falde del Siella il cumulo di un manto nevoso superiore ai tre metri, avviene che, ove si tenga anche conto che il pendio in questa potenziale zona di distacco presenta una pendenza di soltanto 32°, a mettersi spontaneamente in movimento può essere soltanto la parte superficiale del manto nevoso caratterizzata da strati con basso grado di coesione e quindi con scarsa resistenza all’azione dinamica della gravità. Passando invece agli strati inferiori avviene che la componente attiva del carico gravitativo non riesce più a rompere l’equilibrio presente all’interno di questi; ciò perché detti strati sono caratterizzati da un crescente ed apprezzabile grado di coesione che raggiunge il suo massimo in corrispondenza dello strato di fondo ghiacciato e ben ancorato al terreno. Risulta pertanto evidente il perché, in assenza di terremoti, non esista memoria storica di valanghe di grandi proporzioni pervenute a Rigopiano; infatti, le uniche possibili sono rappresentate soltanto da slavine superficiali che arrestano sempre il loro percorso lungo il Grave (brecciaio) di Valle Bruciata”.

Dal momento che più fonti citano la presenza in zona Rigopiano dei resti di un antico monastero benedettino, perché sostiene che lo stesso abbia potuto subire in passato la stessa sorte dell’albergo-resort?

“Perché se così non fosse stato ne dovrebbe risultare ancora la presenza di ruderi come, ad esempio, accade per un analogo antico monastero della vicina Villa Celiera. Comunque, spinto dalla curiosità, una volta provato che sul territorio preso in esame valanghe come quella del 18 gennaio ’17 sono possibili soltanto con l’azione combinata di terre[1]moto e presenza in quota di uno spesso manto nevoso, ho effettuato una rapida ricerca onde accertare quando in passato si sia potuta verificare una simile situazione. Il risultato è stato che quasi certamente fu la sequenza sismica di gennaio-febbraio del 1703, meglio conosciuta come il “Grande Terremoto”, ad innescare sullo stesso versante orientale di Monte Siella una valanga di notevoli proporzioni che al termine del suo percorso ha raggiunto Rigopiano ed impattato sul Monastero distruggendolo”

Non teme che l’acclarata imprevedibilità di un qualsiasi terremoto possa essere riconosciuta anche per la valanga di Rigopiano dal momento che per il suo innesco è stato determinante l’evento sismico?

“Ove si tenga ben presente la particolarità di come si è evoluta, ritengo del tutto errato riconoscere alla valanga in questione lo stesso carattere di imprevedibilità di un terremoto. Procedendo all’esame del caso specifico, infatti, perché alle ore 16:48 del 17 gennaio2017 si sia potuta verificare una valanga dalle notevoli proporzioni come quella di Rigopiano, è stato accertato dagli stessi ricercatori internazionali che ne hanno ricostruito la dinamica che il peso della massa nevosa mobilizzata in fase di distacco è stato di ben 50.000 tonnellate coinvolgendo il manto nevoso in tutto il suo spessore. É noto altresì che è stato l’evento tellurico a provocare la destabilizzazione di tale massa dal momento che soltanto a seguito dei forti scuotimenti indotti sugli strati del manto nevoso dalle cinque scosse della sequenza sismica di quel giorno si è potuta produrre una progressiva riduzione della resistenza degli stessi all’azione dinamica del carico gravitativo. Accade pertanto che con l’ultima scossa delle ore 16:16 lo spesso e pesante manto nevoso presente in zona di distacco raggiunge il massimo grado di instabilità su pendio a tal punto che, nell’immediato a seguire, è stato sufficiente l’aggravio di carico gravitativo dovuto alla nevicata in corso, perché appena 32 minuti dopo, alle ore 16:48 è avvenuta la rottura dell’equilibrio e si è scatenato il cataclisma. In definitiva quel giorno l’imprevedibilità è da ascrivere soltanto alla prima scossa della sequenza sismica, quella delle ore 10:25, che comunque avrebbe dovuto allertare”.

Se, come sostiene nei suoi studi il rischio valanga poteva, e doveva, essere previsto, perché non è stato fatto nulla a livello di prevenzione per salvare la vita di 29 persone?

“Nel ripercorrere con la memoria l’intera giornata di quel 18 gennaio ’17 ricordo bene il grande sconcerto provato nel constatare la totale assenza delle Istituzioni a tutti i livelli, da comunale a provinciale, da regionale a nazionale. In particolare, rimasi sorpreso dal non intervento di quelle Istituzioni che per definizione avrebbero dovuto provvedere alla previsione e prevenzione dei rischi connessi ad eventi naturali avversi. Mi riferisco alla Commissione Nazionale Grandi Rischi per la mancata attivazione dei suoi due settori riguardanti rispettivamente il rischio sismico ed il rischio meteo-idrogeologico, e al comparto regionale della Protezione Civile per l’inadeguatezza mostrata nel suo servizio di previsione e prevenzione dei rischi come pure nel suo servizio di emergenza. È infatti mia opinione che subito dopo la prima scossa chiunque in possesso delle dovute competenze si sarebbe dovuto allertare per l’incombenza di altre eventuali scosse e conseguentemente avrebbe dovuto prevedere l’elevata esposizione al rischio valanga; rischio peraltro già annunciato dal bollettino del servizio Meteomont, oltre che avallato dall’ assetto geomorfologico del territorio montano coinvolto che ne indica una sicura vocazione alla localizzazione di valanghe. Resto infatti dell’opinione che, se le giuste competenze fossero state attivate nelle oltre sei ore successive all’allerta lanciata dalla prima scossa delle ore 10:25, ci sarebbe stato tutto il tempo per provvedere allo sgombero precauzionale dell’albergo o quantomeno per impugnare un cellulare e contattare gli ospiti invitandoli ad uscire e mettersi in sicurezza”

Quali sono le sue aspettative riguardo le risultanze della super-perizia commissionata ultimamente dal Tribunale di Pescara?

“Sono molto fiducioso che questa volta la particolare complessità dell’evento valanghivo che il 18 gennaio del 2017 provocò la morte di ben 29 persone verrà affrontato dai periti del Politecnico di Milano con estrema oggettività e seria scientificità. Allo stato attuale, da geologo del posto profondo conoscitore del territorio montano coinvolto oltre che da attento osservatore che ha vissuto da vicino la tragedia di quel giorno, sono ansioso di conoscere quanti e quali aspetti della mia teoria riguardo l’innesco e la prevedibilità della valanga troveranno conferma. In ogni caso resto fermamente convinto che la nuova perizia, contrariamente alle con[1]tradizioni che hanno caratterizzato le precedenti perizie e studi di parte, fornirà finalmente agli organismi giudicanti del processo in corso tutti quegli elementi di certezza indispensabili per la formulazione di una serena e giusta sentenza”.

Berardo Lupacchini

 

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