MORETTI E CURCIO: COSI’ SCEGLIEMMO E GESTIMMO IL SEQUESTRO DI VITTORIO GANCIA
Lo rivelarono nei rispettivi libri autobiografici. Eppure non sarebbero indagati a Torino

Mario Moretti (nella foto) e Renato Curcio, fra i fondatori delle Brigate rosse, nei rispettivi libri autobiografici confessano di aver organizzato e gestito il sequestro Gancia, quello che nel ’75 vide nel suo tragico epilogo morire alla cascina Spiotta vicino Acqui Terme Margherita Cagol, la moglie di Curcio, e l’appuntato pennese dei carabinieri Giovanni D’Alfonso lì presente poichè componente la pattuglia guidata dal tenente Umberto Rocca, rimasto menomato dallo scoppio di una bomba, e formata anche da Rosario Cattafi e Pietro Barberis. Un’ammissione di responsabilità operata in tempi diversi dai due ex brigatisti nella speranza forse che la vicenda, carica di ambiguità in entrambi i fronti (Stato ed estremisti), restasse ancora sepolta.
E invece ora che sono in corso nuove indagini da parte della procura della Repubblica di Torino sollecitata da Bruno D’Alfonso, figlio della vittima, ed assistito dall’avvocato Sergio Favretto, quelle parole affidate ai libri sono molto significative. “Gancia lo scegliemmo in tre, era in aprile: io, Cagol e Moretti. Quando lei restò sola con un altro compagno a sorvegliare l’ostaggio, dopo l’arresto di Maraschi, mi telefonò il 5 mattina e concordammo che in due sarebbero potuti restare…”, scrisse Curcio nel libro intervista con Mario Scialoja in “A viso aperto” del 1993. “Un compagno del gruppo di appoggio sbagliò strada, fece un pasticcio e si fece prendere. Ma non vicino alla cascina Spiotta, Margherita ci avvertì subito e valutammo la cosa assieme…”, sottolineò Moretti (“Brigate rosse. Una storia italiana”, 1994).
“Mi fu detto, mi fecero capire che Moretti era lì e non si sa bene come riuscì a fuggire nei boschi”, ha rivelato l’ex brigatista Enrico Fenzi dapprima alla commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Moro nel 2017, confermando poi il tutto nel libro “Br. L’invisibile. Dalla Spiotta a via Fani, dal sequestro Gancia al rapimento Moro” di Simona Folegnani e Berardo Lupacchini, uscito l’anno scorso per Falsopiano. Fenzi fu vicinissimo a Moretti dal 1980 all’aprile 1981: vennero infatti arrestati insieme dalla polizia a Milano. Moretti e Curcio sono indagati? Indiziati? Non pare. Ciò che è emerso in questi giorni è che i tecnici del Ris di Parma stanno completando gli accertamenti sui profili genetici di alcuni brigatisti messi a confronto con alcuni reperti del caso Gancia. Diversi ex brigatisti sono stati ascoltati a Milano, altri lo saranno il 7 a Torino dove non è andato Fenzi.
“Ero stato convocato, ma non sono stato bene. Ma non ho nulla da dire…”. Luciano Seno, al tempo capitano dell’Arma dei carabinieri e uno dei più stretti collaboratori del generale Dalla Chiesa che fondò il nucleo speciale contro le Brigate rosse e il terrorismo, in un’intervista a Il Giornale ha fatto il nome di Lauro Azzolini come colui il quale fuggì. Nel 1981, durante il suo pentimento fiume, Alfredo Buonavita nel tentativo di alleggerire la sua posizione beneficiando degli sconti di pena, riferì che Azzolini fu il brigatista che fuggì.
“Ma è solo una mia illazione”, subito precisò. Non ci sono stati riscontri di alcun tipo. Azzolini all’epoca non era proprio un terrorista di spicco, lo diventerà successivamente quando partecipò al rapimento e all’omicio di Aldo Moro in qualità di membro del comitato esecutivo dell’organizzazione eversiva. E’ tra l’altro di notevole statura, ed è per questo particolare che non sembra corrispondere alle caratteristiche fisiche di chi affrontò i carabinieri alla Spiotta e descritto come tale (ridotta statura) anche dall’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia. Del resto, Moretti ha 76 anni e dal 1981 è ancora in uno stato di semi detenzione dopo sei ergastoli subiti. Non parla, però. 

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