di Berardo Lupacchini e Arianna Trosini
Teramo, 30 agosto 1976. Ospite in una casa di riposo muore un uomo ridotto a chiedere un sussidio alla città di Penne. È l’epilogo sommesso per l’ultimo rampollo di una delle più nobili famiglie d’Abruzzo. Cosa può esserci nella storia di un nobiluomo? Ricchezza, amore, successo, velocità e poi l’infelicità, il tracollo, la morte di un figlio, l’ingratitudine con cui venne ricompensato. È la vita di Diego de Sterlich Aliprandi (Castellamare Adriatico, 1898 – Teramo, 1976) e del suo nobile passato dimenticato. Era il Marchese volante, così chiamato per i suoi successi automobilistici nella nascente Formula 1.

Diego de Sterlich Aliprandi (foto Luciano Gelsumino)
Un uomo dal patrimonio immenso: nominato erede dal barone Diego Aliprandi, senatore, finì per essere proprietario fra i tanti possedimenti della torre di Cerrano e di quella triangolare di Montegualtieri. Fu protagonista di una vita estrosa e fuori le righe, tanto chiacchierata e criticata, quanto profondamente tradita dalla memoria collettiva. Il nome di Diego de Sterlich è sicuramente legato alla nascita di un mito dell’automobilismo mondiale: la Maserati.
Tra Diego de Sterlich e i fratelli Maserati, in particolare Alfieri, esisteva infatti una forte amicizia che portò a una delle “più proficue collaborazioni” in campo automobilistico. È il 1926 quando, grazie al “sostanzioso contributo economico” del Marchese, nacque la Maserati Tipo 26, una vettura capostipite di tanti modelli. De Sterlich vendette 300 ettari di terreno per sostenere l’impresa, fornendo dieci telai ad Alfieri. Un aiuto economico che fu ripetuto per altre due volte. Era un impegno finanziario “eccessivo anche per il suo consistente patrimonio”.
Non solo: fu probabilmente lo stesso De Sterlich a suggerire di adottare il simbolo del tridente di Nettuno per la casata. In sintesi, e forse non un’iperbole: “Se la Maserati esiste, lo deve a Diego de Sterlich”. A Maranello quella generosità è ricordata a futura memoria. La lealtà del Marchese protagonista anche nella tragedia: quando Alfieri Maserati morì a Bologna nel 1932, Don Diego fu tra i sei piloti di calibro, come Tazio Nuvolari e Baconin Borzacchini, a scortare il feretro. Un’amicizia che contrastava nettamente con la meschinità che in seguito avrebbe circondato il Marchese, quando “molti che gli erano stati vicini nei giorni più belli, adesso gli voltavano le spalle”. È il 1977: un rombo di motori alla titolazione della Salita Ringa, a Penne, per onorare il Marchese. Così la Maserati ha dato un segno di gratitudine, saldando il suo debito all’uomo che fu tanto generoso. Fin qui è cosa più o meno nota, ma a Penne la storia di Don Diego si scontra con l’oblio più amaro e con un’evidente mancanza di riconoscenza: una promessa non rispettata.
Nel 1935, in un gesto di grande generosità, Don Diego donò al Comune una parte del suo imponente palazzo, allora in via Prati (oggi corso Martiri Pennesi del 1837), di fronte al Municipio, dimora storica dei suoi avi dal XVI secolo con la volontà che lì nascesse una scuola: da allora sede dell’Istituto Tecnico Commerciale, intestata a Guglielmo Marconi, in attesa di una ristrutturazione in seguito agli eventi calamitosi del 2017. La sua richiesta, l’unica condizione posta per la donazione, era chiara: la scuola che sarebbe stata ospitata nell’immobile doveva essere intitolata alla memoria del proprio genitore, Adolfo de Sterlich.

Palazzo de Sterlich Aliprandi (foto di Nicola de Camillis – Baiocchi)
Il notaio teramano Berardo Lenzi, commissario prefettizio reggente del Comune, accettò l’atto di donazione (rogato non da lui il 9 dicembre 1935), ma subito dopo aggirò l’impegno. Il motivo? Sul palazzo gravavano ipoteche dovute alla vita “spericolata” del Marchese. In una lettera del 29 luglio 1936 e riservata al prefetto, il reggiano Renzo Chierici (nel ‘43 per pochi mesi fu capo della Polizia e poi morto misteriosamente in carcere a Roma), Lenzi sminuì la richiesta, definendola non una “vera e propria condizione” legale, ma solo un “obbligo morale”. Un obbligo, riferì l’amministratore pubblico a Sua Eccellenza, che poteva essere adempiuto solo in futuro, dopo la liberazione dell’immobile dai pesi giuridici.
Di fatto, l’unica volontà del benefattore fu relegata all’ultimo posto. Un espediente. La beffa finale arrivò nel 1940. Il podestà Vincenzo D’Alfonso, che aveva acquistato all’asta il resto del palazzo nel 1938, decise l’intitolazione dopo che il collegio dei docenti, guidato dal preside Virgilio Galeotti, si orientò non sull’ormai “dimenticato” Adolfo de Sterlich, bensì su Guglielmo Marconi, il genio della Patria. Una scelta imposta dal Duce, Benito Mussolini. L’impegno non fu mai mantenuto. A nulla servì che, nel 1951, una preside della scuola media tornasse a ricordare l’impegno preso nel 1935. La clausola, l’unica richiesta del donante, fu ignorata.

Palazzo de Sterlich Aliprandi (foto di Nicola de Camillis – Baiocchi)
Di nuovo. La comunità, forse all’oscuro delle manovre burocratiche e delle premesse della donazione, “non ci ha mai fatto bella figura”. Il Marchese, dopo che la sua donazione permise l’apertura immediata della scuola superiore, morì quarant’anni dopo in povertà. Invece di onorare il padre, la città lasciò che il figlio morisse “ridotto a chiedere la carità”. Le poche lire percepite come vitalizio gli servivano soltanto per farsi accompagnare a Penne da un taxi da Teramo dove era andato a vivere e sposare in seconde nozze Vecla Fumo, una delle figlie del titolare dell’omonimo Caffè. Un patto tradito. L’espressione popolare “Finita la festa gabbato lo santo” non è mai stata così calzante come nel caso di Diego de Sterlich Aliprandi e della sua città, Penne. Questo amaro proverbio, che descrive la rapidità con cui si dimentica un benefattore una volta ottenuto ciò che si desidera, illumina una pagina scomoda del passato di Penne. L’ingratitudine, come si evince dai documenti, parrebbe chirurgica. Nonostante l’atto di donazione fosse stato accettato, la clausola fu ignorata. Il notaio Berardo Lenzi, commissario prefettizio, manovrò abilmente per svincolare il Comune dalla promessa.
Dell’annessa cappella dedicata nel 1643 a Sant’Antonio di Padova nulla si seppe per decenni. Solo nel 2000 uscì la notizia della sua vendita all’asta per poco più di 53 milioni di lire: la conseguenza di un’azione di recupero crediti da parte di alcune banche contro l’erede acquisito del Marchese, Guido Verrocchio de Sterlich Aliprandi.

Interno della Chiesa Sant’Antonio (foto di C. Pilone)
Per don Diego la vita non fu tenera. Lusso, onori e sgarbi, ma anche tragedie. Come quella che indusse potentemente la fine di un amore e l’inizio del tracollo emotivo. Il Marchese, sposato con Dirce Cassini, figlia del sottoprefetto di Penne, vide la sua unione distrutta da un evento luttuoso che segnò per sempre la coppia: la morte all’interno del palazzo del loro figlioletto, Adolfo, di poco più di un anno, nel luglio 1921. Affidato alle cure della balia, visto che i genitori erano fuori casa, sarebbe morto per una crisi respiratoria. Un evento spaventoso dal quale la giovane madre non si sarebbe “mai più ripresa”: la famiglia entrò in una crisi culminata con la separazione della coppia e di cui abbiamo notizia dai versi di Luigi Polacchi, autore di una poesia, “Rennele”, che descrisse l’atmosfera legata al lutto e a tutto il resto con la fuga disperata verso il mare dei genitori. Polacchi aveva amato la futura moglie di De Sterlich. indirizzata dal padre di lei verso il blasonato pilota. L’intellettuale pennese, segnalato per il Nobel, idealizzò la donna chiamandola “Marta”.

Dirce Cassini (foto Luciano Gelsumino)
E così, a Penne, l’obbligo morale del Marchese Volante si è trasformato in una cicatrice storica: una promessa disattesa, un’eredità tradita e un nome, quello di Adolfo de Sterlich, cancellato dall’ingresso dell’istituto che suo figlio aveva donato. Diego de Sterlich Aliprandi, il salvatore della Maserati, morì solo, ridotto alla sussistenza. A chi gli chiese il palazzo, la città rispose di sì; a chi chiese l’onore per il padre, la storia rispose: “COME NO, SIGNOR MARCHESE”. Ecco il peso di un’eredità morale tradita che attende ancora di essere riscattata. La lezione di una memoria di un nobile passato: un rombo d’auto ai piedi di una strada in salita.















