E FU ANCHE IL DERBY DI PIO, QUELLO CON LA BARBA
Pompa, lo “straniero” della Lauretum. Fece poi carriera come spione di Stato: e così la barba divenne finta e d’oro

Era il derby. Il derby numero 1: in Abruzzo paragonabile fatte le dovute proporzioni a un Teramo-Giulianova e ad un Pescara-Chieti. Penne-Lauretum si materializzò la domenica del 4 gennaio 1976 nel campionato regionale di prima categoria, preceduto da un’attesa eccezionale. A Penne si arrivò ad organizzare una sottoscrizione popolare allo scopo di costituire un ricco premio da devolvere ai calciatori biancorossi per quello che era il derbissimo.

Si superò quota centomila lire, non poco: se si pensa che in tanti offrirono mille lire: poco più di due kg di pane o l’equivalente di una decina di caffè al bar e quasi il prezzo di dieci quotidiani, l’inflazione era intorno al 17%. Le due squadre non si erano mai affrontate in campionati ufficiali e quella domenica fredda ma di sole davanti a duemila spettatori sulla livellata terra del Comunale diedero vita ad un match avvincente ancora oggi ricordato. I biancorossi del duo Rocco Core-Guido Colangelo (il primo molto emotivo allenava durante la settimana, Colangelo più freddo impostava la formazione) erano primi in classifica, in corsa per vincere il campionato e tornare a quattro anni di distanza in Promozione. I biancazzurri da neo promossi cercavano una salvezza che nel girone di ritorno si rivelò irragiungibile.

Eppure, nonostante il Penne fosse notevolmente favorito, premendo per tutto l’incontro, finì in parità: gol in apertura di Mauro Di Pietro, un loretese doc, con un’’incornata delle sue per i padroni di casa e pareggio allo stesso minuto numero 3 della ripresa su calcio di punizione di Mauro Soccio, forte attaccante.

Il derby, si sa, sfugge ad ogni pronostico e alla fine il pareggio sancito dal triplice fischio di Milton Di Sabatino di Teramo accontentò tutti: il Penne restò al primo posto. La formazione biancorossa si era presentata all’appuntamento con Di Giorgio fra i pali, Ranieri libero, Castorani e Giannetti fluidificanti di fascia, Giancaterino stopper, Palma, Sigillo e De Laurentis a metà campo, Severo, Di Federico e Di Pietro in avanti. Di contro, davanti al portiere Rossi e alle spalle del puntero e capitano Mauro Soccio, Acconciamessa, Savini, Niccolò, Chiavaroli, Giovanetti, Oliviero Di Pietro (cugino di Mauro), Sablone, Fabio Acciavatti (nipote di Manfredo, il presidente, e che qualche anno dopo passò al Penne) e poi lui, l’unico biancazzurro con la barba (vera): Pio Pompa. Nato a L’Aquila il 15 febbraio 1951, tecnico della Sip, la società di Stato dei telefoni, era l’unico di fuori in quella Lauretum il cui leader maximo in qualità di presidente e responsabile tecnico era il costruttore Manfredo Acciavatti che si avvaleva del duo formato da Carmine Giovanetti e Maruo Soccio, vincitore nella stagione precedente della seconda categoria. A far indossare la maglia biancazzurra all’aquilano Pompa, con casa a Spoltore, fu Peppino Tabilio, storico dirigente loretese che lo convinse a lasciare l’Oratoriana L’Aquila.  

Nel corso di quella stagione calcistica ne accaddero di tutti i colori alle protagoniste di quel derbissimo. Il Penne a fine stagione arrivò a pari merito con il Raiano e si giocò il passaggio in Promozione nei celebri spareggi di Chieti. La formazione del dottor Perilli, dopo essere passata in vantaggio, venne raggiunta e il match si dovette rigiocare; nella ripetizione, i peligni sconfissero i vestini ed approdarono in Promozione dove mesi dopo li raggiunse il Penne grazie al ripescaggio.

La Lauretum invece retrocesse e proprio la presenza dello ”straniero”Pio Pompa pesò in maniera negativa negli equilibri interni alla compagine. A primavera inoltrata, nella gara di ritorno giocata sempre a Penne (era in corso la realizzazione dello stadio Sablanico), la squadra di Core e Colangelo superò agevolmente i cugini per 2 a 0. Ma l’interesse per Pompa si lega alla sua futura carriera di agente dei servizi segreti. Un tempo di sinistra, a 50 anni e all’esordio del governo Berlusconi nel 2001 diventò il braccio destro di Niccolò Pollari da poco insediato dal cavaliere alla guida del Sismi, il servizio segreto di informazione e sicurezza militare. Come e perché sia stato selezionato per questo delicatissimo e ben retribuito ruolo, non si è mai capito naturalmente. Sta di fatto che Pio Pompa da quel derby del 1976 ha cambiato letteralmente vita pur restando nell’area vestina: avvistato più volte fra Penne e Montebello di Bertona.

Non poco clamore suscitarono alcune sue vicende professionali gestite dalla struttura di via Nazionale: dal Nigergate al sequestro di Abu Omar, alla liberazione delle “due Simone” nell’ottobre 2004. L’ex impiegato di Telecom aveva il compito di sapere in anticipo cosa scrivessero i giornali, specie certi giornali, e di riferire al generale Pollari. Lo ammise in un memoriale di luglio 2006 inviato alla magistratura dopo che l’archivio segreto del Sismi era stato messo sotto i riflettori. Così, quella sua barba vera, a Pio Pompa sempre uscito pulito da processi di varia natura istruiti a suo carico con gli anni si è trasformata in finta: a spese nostre.

Berardo Lupacchini

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