I FANTASMI DEL SEQUESTRO GANCIA AVVOLGONO CURCIO
Indagato per l’omicidio del carabiniere D’Alfonso

Renato Curcio è indagato per il concorso in omicidio del carabiniere pennese di 45 anni e padre di tre bambini Giovanni D’Alfonso nel tragico epilogo del sequestro di Vittorio Vallarino Gancia il 5 giugno 1975 vicino ad Acqui Terme. L’ideologo delle Brigate rosse, che decise il rapimento ai fini estorsivi del re delle bollicine per il quale fu richiesto un miliardo di lire, è stato ascoltato dai magistrati di Torino e di Roma che conducono le indagini dopo l’esposto del figlio della vittima, Bruno D’Alfonso, seguito dagli avvocati Sergio Favrettoi e Nicola Brigida.

L’omicidio in casi di terrorismo è ancora più resistente alla prescrizione. Curcio tra l’altro nel suo libro autobiografico “A viso aperto”, edito una volta scontata la pena di 21 anni di carcere duro, scrisse di aver deciso ed organizzato il sequestro di Gancia insieme con Mario Moretti e Margherita Cagol che morì nello scontro a fuoco con i carabinieri che portò alla liberazione dell’industriale rapito alle 15 del 4 giugno. Lo stesso Moretti, che una serie di elementi raccolti in un saggio colloca insieme alla Cagol nel sequestro e che sarebbe riuscito a fuggire, nel proprio libro autobiografico riferì di aver gestito i momenti del rapimento con la Cagol.

Una relazione scritta sul conflitto a fuoco venne trovata a casa di Curcio a Milano quando venne arrestato il 18 gennaio 1976 insieme a Nadia Mantovani. Quindi, la domanda è: se Curcio fosse stato lì perché relazionarlo?In ogni caso, l’81enne oggi editore nel Cuneese è stato ascoltato a Roma e l’ex capo brigatista ha consegnato una memoria scritta per dirsi estraneo al caso Gancia. Il suo avvocato è il reggiano Vainer Burani che segue nella stessa vicenda altri brigatisti sentiti come possibili informati dei fatti come Franco Bonisoli, Attilio Casaletti e Loris Paroli. C’è da dire che Curcio in quel giugno ‘75 era super ricercato poiché evaso grazie a un’azione fulminea guidata proprio dalla consorte, Margherita Cagol. Il blitz avvenne nel carcere vecchio di Casale Monferrato quattro mesi prima del sequestro Gancia. Le indagini riaperte dalla procura anti terrorismo di Torino, coordinata da Emidio Gatti, mirano comunque a far luce sull’identità del brigatista fuggito dalla cascina Spiotta dove Gancia fu segregato per meno di 24 ore.

L’indiziato numero 1 sarebbe Mario Moretti. È stato Enrico Fenzi, arrestato con lui nel 1981 dopo nove anni di latitanza, a parlare per la prima volta di Moretti riuscito a fuggire in maniera rocambolesca dalla Spiotta alla commissione parlamentare su Aldo Moro. “Il risentimento del nucleo storico già incarcerato e cioè Curcio, Franceschini e Semeria, nasceva nei confronti di Moretti soprattutto e non dolo da quella sua fuga…”, spiego’ Fenzi pentito nel 1982. In corso comunque ci sono gli accertamenti tecnici compiuti dal Ris di Parma su alcuni reperti rinvenuti nella base brigatista di via Maderno a Milano dove i carabinieri dell’ antiterrorismo scovarono Curcio e la Mantovani la sua nuova compagna di fede e di vita: era il 18 gennaio 1976, sei mesi dopo il caso Gancia. Di quel sequestro però non sembrano esserci i reperti tipici, tutti scomparsi o distrutti come le armi e le auto.

Nel 1975 il Sid, il servizio segreto militare, aveva infiltrato nelle Br un operaio del Petrolchimico: la cosiddetta fonte Frillo che permise gli arresti di Curcio e della Mantovani e due mesi dopo di Giorgio Semeria. Nel dicembre ‘75 Mario Moretti affitto’ a Roma il covo di via Gradoli sotto le mentite spoglie dell’ingegnere Mario Borghi. Fu quella la base strategica servita per impostare il sequestro di Aldo Moro nel marzo 1978.

Berardo Lupacchini

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