PENNE – Se davvero i francesi di monsieur F.Henry Pinault della Holding Ppr (7,2 miliardi di euro di ricavi e 722 milioni di utile a fine giugno) stanno formalizzando l’acquisto del marchio Brioni sborsando 350 milioni di euro, per i 1.300 addetti del gruppo tessile vestino-romano non ci dovrebbero essere rischi.
Perché dove sono arrivati, e cioè in Gucci, Bottega Veneta, Yves Sain Laurent e Puma, i transalpini hanno mantenuto l’occupazione e soprattutto investito. E’ cauto ma fiducioso sulle prospettive, Domenico Ronca della Cgil tessile provinciale: "Noi puntiamo ad un made in Italy sempre più forte. E Brioni ha tutto a posto per essere valorizzata dai nuovi proprietari, se le notizie di compravendita saranno confermate. Il gruppo può crescere e l’occupazione dovrà essere salvaguardata, ci aspettiamo naturalmente investimenti in tal senso. Anche il polo dell’Alta Moda esige un impegno serio”.
Prosegue intanto la cassa integrazione: ogni dipendente rinuncia a 100 euro al mese. E un piano di una ottantina di esuberi fra pensionamenti e mobilità incentivata è stato definito specie per i quattro stabilimenti vestini di Penne, Collecorvino, Civitella Casanova e Montebello di Bertona.
La rappresentanza sindacale unitaria (Leonardo D’Addazio della Cisl, Fabio Di Giuseppe della Cgil e Gilda Pavone della Uil) ha intanto chiesto un incontro alla direzione della Brioni per avere lumi sulla trattativa di cessione in corso. Il gruppo comunque è tornato in utile nel 2010 dopo un 2009 nerissimo. Segnali incoraggianti arrivano dal fatturato che ha segnato un più 10% l’anno scorso e sempre a due cifre quest’anno.
In Brioni la scelta di cedere sarebbe legata alle difficoltà di finanziare nuovi investimenti nel mercato del lusso, anche a causa di un debito di 88 milioni di euro con Bnp Paribas. Oltre a liquidare fra il 2006 ed il 2007 i soci ed amministratori storici Lucio Marcotullio e Umberto Angeloni (e la moglie), l’esposizione è cresciuta per aver versato agli azionisti, discendenti dei fondatori Nazareno Fonticoli e Gaetano Savini, un dividendo straordinario di 65 milioni di euro quando la società venne basata, per pochi mesi, nel paradiso fiscale del Lussemburgo.