PIÙ COMODI MA NON PIÙ SICURI
Corrado Coletta, classe 1929 racconta come la pandemia sia diversa dalla guerra

La forza evocativa delle parole spesso nasconde insidie o agevola metafore di comunicazione di percezioni irreali a cui dovrebbero seguire comportamenti reali. Una di queste è stata usata da quasi tutti i canali mediatici per persuadere i cittadini a rispettare l’obbligo della quarantena ed è l’immagine della Guerra, sublimata dalla foto dei carrarmati che accompagnano le bare verso il cimitero di Bergamo e che resterà il simbolo di una Italia messa in ginocchio. Dal Covid19. Un cacciabombardiere immateriale che ha colpito prevalentemente proprio quella generazione testimone degli effetti della Guerra del 1939. E se per quella post bellica la metafora adoperata dai media ha evocato fantasmi, coloro che l’hanno vissuta sono capaci di tracciarne con realismo le differenze ed in particolare sapendo verso quale futuro orientare lo sguardo.

 

Corrado Coletta, classe 1929, vive a Loreto Aprutino ed è custode di quelle  memorie piccole che, attraverso il racconto, creano un osservatorio universale sulla tragedia. Lo fa anche attraverso i social, Facebook in particolare, perché conosce benissimo la differenza tra modernità e modernizzazione, come quella tra progresso e sviluppo che lui ha attraversato dall’alto dei suoi 91 anni, archiviando ricordi passo dopo passo.

Corrado, prima di tutto come stai?

Bene, sto reagendo abbastanza bene a questo periodo di libertà limitata ma  bisogna resistere, resistere, resistere.

La comunicazione sociale ha paragonato questa pandemia ad uno stato di guerra, che ne pensi?

Io l’ho vissuta la grande guerra e ti posso dire che quello che stiamo vivendo è molto peggio, anche se viviamo in delle case più belle e con tutte le comodità, abbiamo cibo, televisione, riscaldamento, dormiamo in letti puliti eppure non siamo al sicuro, siamo comodi ma non siamo al sicuro

Perché?

Perché oggi il nostro nemico è invisibile. Durante la guerra quando preannunciavano l’arrivo degli aerei sapevamo dove rifugiarci o sapevamo, almeno, che in certi posti c’era la salvezza. Oggi, questo virus è uno “spiffero” che ti può entrare in casa e tu non puoi fare niente. Questo fa più paura delle sirene che sentivamo prima delle bombe

Ti fa paura la povertà che può causare tutto questo?

Io non ho paura delle cose materiali: io la povertà l’ho vissuta sul serio, pensa che quando avevo fame e la pancia si contorceva mi facevo delle  scorpacciate di fiori d’acacia che certe volte mi sentivo anche male. Mi fa paura lo spreco del cibo quando leggo che oggi, ogni famiglia, butta nella spazzatura 70-80 euro di cibo al mese e c’è gente che non ha da mangiare e muore.

Pensi che la paura in tempo di guerra fosse, per assurdo, più democratica?

Adesso siamo tutti comunicanti grazie ai computer ma siamo più isolati di allora. Mi ricordo che durante gli sfollamenti stavamo tutti insieme, napoletani, calabresi, molisani, le porte si aprivano ed il mangiare si divideva senza distinzioni, c’era il contatto, c’era il popolo. Adesso la società è organizzata ma è tutto più impersonale e l’umanità si vive in altro modo. Io vorrei dire grazie a tutti i volontari della Protezione Civile che stanno lavorando e portando da mangiare a tutti, tu non sai quanto mi piacerebbe uscire e rendermi utile.

C’è una lezione da imparare?

Più che lezione dobbiamo capire che noi siamo niente rispetto alla forza dell’equilibrio naturale e se eccediamo succede come quando i Lanzichenecchi arrivarono a Roma che per loro era quasi la città di Satana, intrisa nei vizi e nelle orge.

Cosa dobbiamo sperare per il post pandemia?

Io spero che questo nemico invisibile riporti l’essenzialitá nelle vite di ognuno, la solidarietà, non essere pretenziosi, non pretendere di più di quello che si può avere, che tolga la boria a quelli che pensano che siano solo i soldi a renderci giusti.

Ce la faremo?

È una scommessa, purtroppo il coronavirus ci fa dubitare che il futuro dipenda da noi ma invece adesso è importante che ognuno di noi faccia la sua parte. C’è gente su Facebook che scrive cose da incosciente, porca miseria, adesso è importante non perdere la speranza è aiutare a non perderla.

Cosa secondo te, così come  è stato per la guerra, potrà assurgere a simbolo di una rinascita?

La società delle madri. Io ricordo la mia,

andava nei campi e raccoglieva spiga per spiga per fare il grano. Negli stati di emergenza sono le mamme che fanno la differenza, sopportano in silenzio e lavorano.

Come passi le giornate Corrado?

Io mi organizzo bene, leggo, guardo la televisione e poi sto su Facebook.

Sai cosa mi ha colpito di quello che ho letto? Che abbiamo speso tanti soldi per armi e tecnologie sofisticate ma quello che è fondamentale per sconfiggere il nemico moderno sono le mani dell’essere umano.

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