LORETO APRUTINO: SEBASTIANO FEZZA A SCUOLA “PARLIAMO DELLE GUERRE, NON DELLA GUERRA “

Parlare della guerra per educare alla Pace, un obiettivo che è stato il fulcro della giornata che, il Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo di Loreto Aprutino, Camillo D’Intino, ha organizzato invitando il cinereporter RAI Sebastiano Nino Fezza.

Professor D’Intino, due parole forti come Guerra e Pace che trovano a scuola il luogo giusto perché la seconda prevalga e sia progetto di educazione, qual è il senso? 

Oltre al senso direi che, oggi, per la scuola è un dovere parlare di pace e farlo con competenza. Viviamo in una società nella quale tutti parlano di tutto, la scuola è, invece, il luogo della competenza, dove le parole indirizzate ai giovani devono essere puntuali e referenziate. Ecco perché, abbiamo invitato un personaggio che ha trascorso 30 anni della sua vita in zone di guerra, inviato in 17 conflitti e può, a pieno titolo, regalare ai nostri studenti la giusta e corretta dicitura di cosa significhino e quali conseguenze portano i conflitti bellici. L’educazione alla Pace è al pari dell’educazione civica, aiutare i nostri alunni a tirare fuori quanto di bello e giusto potranno affrontare come cittadini,è la nostra missione.

E parliamo anche di attualità perché le notizie che si susseguono dal 24 febbraio pongono i ragazzi vicini al problema

La scuola deve  sempre essere presente sulle tematiche quotidiane. I ragazzi vivono immersi nella realtà perciò la scuola non può essere una monade staccata da essa, e le discipline servono proprio ad educare con l’aggancio costante alla realtà. Credo anche che, in questo intento, bisogna coinvolgere il territorio, ci credo, e ci ho sempre creduto, nelle scuole nelle quali ho avuto il privilegio di lavorare. Il legame con il territorio  è necessario per poter affiancare i docenti e la comunità in cui si vive e si opera, I nostri ragazzi, poi, non avendo vissuto la guerra, studiandola solo sui libri, la vedono come qualcosa di lontano. Lo stesso Fezza farà vedere loro delle foto, non proprio bellissime, alcune desolanti e tristi, ma serve  proprio per sentir raccontare della guerra, lontana anche dagli schemi televisivi o dei social media. Il rapporto con questo speciale interlocutore è reale e non filtrato, questo è un valore aggiunto per la consapevolezza.

In riferimento al presente mi viene in mente una frase: L’aggredito non ha sempre ragione, l’aggressore ha sempre torto. Questa frase mi ha fatto pensare ai banali litigi dei ragazzi dove magari ad una parola offensiva si risponde con un pugno. Non le sembra questa una metafora della guerra?

Sì sostanzialmente sì. La scuola vive oggi ad esempio episodi di bullismo, di cyber bullismo, di guerre tra virgolette, dove magari non ci sono bombe, non ci sono morti ma in cui bisogna sempre operare per educare al dialogo e non allo scontro. 

Il Professo Camillo D’Intino con Daniela Valentini, che ha portato il saluto dell’Amministrazione Comunale

Lasciamo il dirigente accogliere ragazzi, docenti e genitori: la conferenza si apre con le classi seconde della scuola secondaria che intonano l’inno di Heartbeat, diretti e preparati dalla Professoressa Susanna Pozzi, la  solista è un’alunna dalla voce dolcissima. Lei, come la bimba siriana che ha eseguito in origine il canto, ha trovato qui, in questa piccola scuola di paese, la dimensione che dovrebbe accomunarci tutti in una lingua universale che è la musica, che è la fratellanza. Sebastiano Fezza prende la parola liberandosi subito del microfono e della postazione, per avviare un colloquio aperto con i ragazzi e percorrendo più volte il corridoio tra le due file dei presenti. Spesso lì coinvolge, rivolgendo loro delle domande che li faccia riflettere e li metta di fronte alle loro emozioni. Servendosi della collaborazione di Giacomo, alunno esperto nell’uso del computer, fa scorrere immagini e cartine geografiche: lui non è un analista delle ragioni politiche delle guerre ma semplicemente un narratore delle storie legate alle persone che vivono le conseguenze delle guerre. In particolare, le sue attenzioni sono rivolte ai bambini coinvolti nelle guerre, alle loro testimonianze raccolte nelle zono di guerra o nei campi profughi.

L’incontro si conclude dopo due ore senza mai un calo di attenzione, alla fine l’applauso libera le parole e le trasforma in pensieri e ricordi, da portare a casa. Aveva ragione il Preside, anche noi adulti, abbiamo raccolto ogni sillaba del racconto di Sebastiano Fezza per scoprire che c’è un altro modo di ascoltare la guerra! 

DELLA SIRIA

Sono passati dieci anni dal conflitto in Siria eppure nessuno ha mai dato tanta rilevanza al conflitto della Siria durato per ben sei anni. Della guerra in Libia non se ne è mai parlato così tanto come della guerra in Ucraina. E anche se diciamo che la guerra in corso ha l’attenzione dei media solo perché è più vicina a noi  e all’Europa nessuno si rende conto che la distanza geografica dell’Ucraina dall’Italia è di gran lunga superiore alla distanza della Libia. Eppure i media danno più importanza alla prima. In Libia c’è una guerra che dura da anni e nessuno ne parla. Qualsiasi cosa io possa raccontarvi voi dovete sempre provare a mettervi nei panni degli altri. Se vi parlo di un bambino siriano provate a mettervi nei panni di quel bambino. Vedrete le immagini di quei bambini e voi provate ad immedesimarvi con loro. Pensate di immaginarvi di stare chiusi al buio, di sentire il rimbombo degli aerei e delle bombe, provate ad immaginarvi di non poter fare colazione al mattino come siete abituati a fare, pensate di non potervi lavare. Provate ad immaginare di svegliarvi al mattino con il rumore delle bombe”.

DELLA JUGOSLAVIA

“Ho documentato tante guerre una in particolare , quella dell’ex Iugoslavia. Quella è stata una guerra d’assedio, 650 colpi di mortaio spararono davanti al mio albergo, e dopo venti anni ne conservo ancora il trauma. Se sento ancora oggi una porta che sbatte o un rumore strano  mi agito e salto scuotendo il capo. Eppure ero e sono una persona adulta. Immaginatevi quale trauma può essere per un bambino .Perfino i fuochi artificiali mi sorprendono e mi fanno sussultare“.

IL NOME DEI BAMBINI

Di solito le storie che io racconto sono legate ai nomi dei bambini che ho conosciuto. Se non ne ricordassi il nome quella storia non esisterebbe più nella mia mente e questo dimostra che ognuno di noi con il nostro nome che ci distingue ha una storia da raccontare”.

E L’AFRICA?

“Le guerre in Africa durano anche venti o venticinque anni e i bambini ricevono in premio un grado da caporale in modo da essergli affidato un gruppo di altri bambini che dovranno provvedere a, lavare i panni, cucinare, trasportare piccoli oggetti da una parte all’altra, fare le staffette. Non vengono arruolati come soldati ma lo stato di soldato viene acquisito come premio. Addirittura ai bambini vengono fatti dei taglietti su un lato della testa per inoculare loro un’erba allucinogena che fatta poltiglia viene poi fatta colare all’interno della ferita simile alle droghe.Insomma il racconto delle storie dei bambini che lui ha conosciuto sono tutte storie che servono a creare empatia e dare un’idea realistica della guerra che non è quella vista nei video games o in TV”.

Passa poi a spiegare concretamente  ai ragazzi il concetto di geopolitica attraverso la proiezione della cartina geografica del mondo e prendendo dal pubblico due ragazzi più alti e robusti ed uno più magrolino  rispetto agli altri due posto in mezzo fra i due. I due ragazzi più robusti rappresentano gli Stati Uniti e la parte europea appartenente alla NATO da una parte e Russia e Cina dall’altra, al centro c’è una striscia più piccola chiamata Medioriente e ricca soprattutto di petrolio. I due blocchi più grandi e potenti spingono il piccolo blocco centrale che rappresenta L’Europa di mezzo. Ambedue le Superpotenze esercitano una forza sulla striscia mediana per meglio posizionarsi. Con questa semplice simulazione spiega ai ragazzi il concetto di geopolitica. Tutta la parte dell’ emisfero nord che si trova frapposta fra queste due potenze è da sempre vittima di questo grande conflitto tra Occidente e Oriente.

Fezza ha un modo tutto suo di parlare con i ragazzi: vero, senza infingimenti, la loro scelta per la Pace deve essere crudele, più della guerra, solo così, alla fine, si può cambiare il mondo.

Alla fine dell’incontro, alla nostra domanda sulla premessa se i mass media ci stiano portando a schierarci, nell’attuale guerra tra Russia ed Ucraina, come se potesse mai esserci una guerra giusta, ma esiste, secondo Lei, una guerra giusta? Fezza risponde così: “ I due termini sono incompatibili tra loro. Se è guerra non può essere giusta e se è giusta non può essere guerra Non esiste la guerra giusta, esiste la guerra perché comunque qualsiasi guerra si faccia succede sempre ciò di cui abbiamo parlato finora. Non sono i grandi che si scontrano ma sono i piccoli che ci rimettono. In Africa esiste un proverbio straordinario che dice che quando due elefanti combattono a rimanere schiacciata è sempre l’erba. Come può essere giusta una guerra che distrugge un’intera generazione. Come può essere giusta una guerra che fa 20 mila morti? Non esistono le guerre giuste come non esistono le guerre di religione. La religione non è mai il motivo della guerra ma è lo strumento che si utilizza per giustificarla. Le guerre alla nostra età adulta durano tre anni, sette anni, dieci anni ma alla loro età, all’età dei ragazzi, bruciano un’intera generazione. Bruciare una generazione vuol dire ritardare il futuro di un Paese e la possiamo chiamare guerra giusta? Neppure le crociate erano guerre giuste e non dobbiamo parlare della guerra ma delle guerre! Io non a caso ho fatto l’esempio della geopolitica , per spiegare quello che gli altri tentano di spiegare con termini difficili. La realtà è che io spingo verso di te e tu verso di me e a star male è sempre chi sta in mezzo. Abbiamo gà visto che l’esportazione della democrazia è stata la più grande sciocchezza dell’occidente perché così come la guerra, non esiste la democrazia ma le democrazie. Una democrazia europea non è uguale ad una democrazia sudamericana o sudafricana. Una democrazia deve nascere dal popolo in un paese non la si può esportare. Deve maturare la democrazia di quel popolo per quel popolo. L’esperienza stessa della democrazia più antica, quella della MAGNA CHARTA in Inghilterra non è una democrazia perfetta nonostante l’esperienza di ben ottocento anni. Noi abbiamo un’esperienza di democrazia di 75 anni che fa ridere rispetto agli 8oo anni dell’Inghilterra! Ragazzi vi saluto così: conto fino a cinque, ecco, ogni cinque secondi nel mondo muore un bambino per cause prevedibili. Un bambino che può chiamarsi Malin, Ciobe, Muamed proprio come i bambini di cui vi ho raccontato le storie. Siamo stati insieme per circa un’ora e mezza ed ora che tornate in classe provate a calcolare quanti bambini sono morti, per cause prevedibili, mentre noi eravamo qui a chiacchierare.

Gianfranco Buccella 

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