INTERROGATORI E PROFILI GENETICI, CHI UCCISE D’ALFONSO TREMA. FORSE

Chi uccise il carabiniere pennese Giovanni D’Alfonso, padre di tre bambini e con due bossoli infilati nella sua divisa, nel tragico epilogo del sequestro operato dalle Brigate Rosse del re degli spumanti Vallarino Gancia? Fra Canelli ed Acqui, era il giugno 1975, si svolsero i fatti. Adesso quel mistero potrebbe essere finalmente svelato. Le indagini sofisticate del Ris di Parma sui profili genetici di alcuni brigatisti potrebbero portare all’individuazione del brigatista fuggito nei boschi. Indaga da un anno la procura della Repubblica di Torino cui si è rivolto Bruno, il figlio del militare ucciso nel conflitto a fuoco in cui perì la brigatista rossa Margherita Cagol.

La svolta investigativa consiste anche in nuovi interrogatori: a Milano sentiti alcuni ex appartenenti alle Br. Il pensiero va a Mario Moretti che ammise in un libro autobiografico di aver organizzato e gestito insieme a Cagol e al marito Renato Curcio il sequestro Gancia. Stessa cosa sostenne in un altro testo, il vedovo. Gli accertamenti dei carabinieri del Ris di Parma potrebbero dare un nome a chi partecipò a quello che è passato alla storia come il primo sequestro (richiesta di un miliardo di lire) di persona a scopo di autofinanziamento ideato dalle Brigate Rosse. L’attività investigativa segue gli accertamenti scientifici cui sono stati sottoposti i reperti sequestrati all’epoca della sparatoria: come una macchina da scrivere.

A far riaprire le indagini è stato l’esposto presentato, con il tramite dell’avvocato Sergio Favretto, da Bruno d’Alfonso, figlio dell’appuntato morto nella sparatoria del 5 giugno 1975. “Mio padre, un eroe”, ha detto D’Alfonso, luogotenente dell’Arma a riposo. Le indagini sono affidate ai carabinieri del ROS e coordinate dai magistrati del pool sul terrorismo della Procura di Torino e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Gancia fu rapito da un commando di almeno otto brigatisti fra i quali Massimo Maraschi, arrestato il giorno stesso del rapimento. Ma da chi era composto il commando? Chi c’era con Cagol quella mattina? Un recente saggio, frutto di anni di ricerche, mette insieme fatti, elementi e testimonianze come quella di Enrico Fenzi, ex ideologo delle Br; il libro indica in Moretti il brigatista sfuggito all’arresto e scopre clamorosamente la presenza nei giorni del sequestro di un infiltrato nelle Br, ancora vivente, che consentì l’arresto fino al 1976 di tre quarti del nucleo storico brigatista.

Il 18 gennaio 1976 infatti in via Maderno a Milano il Sid di Milano ed i carabinieri arrestarono Renato Curcio e Nadia Mantovani grazie proprio alla spiata della fonte Frillo manovrata dal centro di controspionaggio del servizio segreto di Padova, ovvero un operaio del Petrolchimico di Marghera. Nell’appartamento milanese fu ritrovato un memoriale, cioè l’originale della relazione redatta dal brigatista sconosciuto sfuggito alla cattura alla cascina Spiotta che spiegava a Curcio, rimasto vedovo, l’accaduto. Nel documento il brigatista descrive gli eventi con molti particolari fin dal momento in cui egli raggiunse la cascina dove era già presente la “compagna Mara”. Chi ha scritto quel memoriale? Chi le era accanto quella mattina?Il 4 giugno ‘75 l’industriale degli spumanti Vittorio Vallarino Gancia fu rapito a Canelli e trasportato alla cascina Spiotta, a Melazzo vicino Acqui. Margherita Cagol rimase a sorvegliare Gancia, insieme appunto all’altro brigatista.

La mattina seguente avvenne il conflitto a fuoco con i carabinieri che andarono a perlustrare la cascina. Nella sparatoria il tenente Umberto Rocca fu preso in pieno da una bomba a mano. Il maresciallo Rosario Cattafi lo portò al riparo, ma restarono da soli D’Alfonso e Pietro Barberis in borghese. I brigatisti uscirono sparando: rimase ferito letalmente l’appuntato D’Alfonso, colpito forse dalla Cagol, ma che secondo il libro non sparo’: negativo il guanto di paraffina. Fu un’esecuzione, secondo la vulgata brigatista e secondo Alberto Franceschini, all’epoca del sequestro recluso a Saluzzo. “Conosco l’identità di chi è fuggito dalla Spiotta…”, scrisse in un suo saggio. Chissà che non lo abbia ora rivelato agli inquirenti. 

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