CHI MINACCIO’ DI MORTE BRUNO D’ALFONSO DENUNCIATO DALLA POLIZIA

Si sarebbe subito pentito dopo che la polizia lo ha individuato come l’autore della minaccia di morte su instagram a Bruno D’Alfonso, secondogenito di Giovanni, il carabiniere pennese di 45 anni vittima delle Brigate Rosse. 28 anni, friulano di Udine, ha inteso scusarsi con Bruno D’Alfonso, il figlio di quel Giovanni, sposato e padre di tre adolescenti, ucciso nel giugno 1975 nel tragico conflitto a fuoco che segnò l’epilogo del sequestro di Vittorio Vallarino Gancia, vicino Acqui Terme.
Era maggio, quella minaccia si è concretizzata pubblicando la foto del padre di Bruno D’Alfonso su cui era stata tracciata una X rossa sul volto e la frase rivolta a Bruno: “Sei il prossimo”. L’altro ieri la svolta nelle indagini avviate dal personale pescarese diretto dal questore Luigi Liguori: il sequestro nell’abitazione del 28enne di smartphone e computer e la conseguente confessione agli agenti di essere colui che stavano cercando. L’accusa ora è: minaccia grave, aggravata cioè dall’inoltro della stessa con scritto anonimo e dall’aver commesso il fatto con finalità di terrorismo; il procedimento va avanti comunque d’ufficio. La vicenda risale a sette mesi fa quando Bruno D’Alfonso, originario di Manoppello, carabiniere in pensione, figlio dell’appuntato Giovanni D’Alfonso – perito nella storica sparatoria con le Brigate Rosse (uccisa anche Margherita Cagol, la moglie di Renato Curcio) – presentò un esposto alla Digos di Pescara in cui spiegava di aver ricevuto la mail anonima.
Nell’atto, inoltre, segnalava l’esibizione, avvenuta anche in un locale di Pescara il 25 aprile scorso, del gruppo musicale, “P38 La Gang”, i cui componenti sono stati recentemente perquisiti dalla Procura della Repubblica di Torino per istigazione ed apologia di reato, poichè nei loro testi si inneggia alle gesta delle Brigate Rosse. La Digos di Pescara, insieme ai colleghi del Centro operativo per la Sicurezza cibernetica della Polizia postale per l’Abruzzo, è riuscita a risalire all’utilizzatore del profilo Instagram da cui era partita la minaccia a Bruno D’Alfonso, rintracciando così il giovane friulano. La perquisizione è scattata l’1 dicembre su provvedimento della procura distrettuale dell’Aquila.
Gli agenti delle Digos di Pescara, Udine e Trieste e del Centro operativo per la sicurezza cibernetica della polizia postale per il Friuli Venezia Giulia hanno controllato alcune abitazioni nella disponibilità dell’indagato a Trieste e a Udine. “Spero che questo coetaneo di mio figlio Paride abbia davvero capito che con certe storie non si può scherzare perchè la nostra è una tragedia che ha condannato la mia famiglia all’ergastolo del dolore”, commenta Bruno D’Alfonso.

Berardo Lupacchini

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