Una festa privata senza dress code ma se sorrisi e gioia fossero vestiti da indossare, all’ 8ª Edizione de La Trebbiatura di Giuliano, a Loreto Aprutino, sicuramente ogni protocollo sarebbe stato osservato. Giuliano è Giuliano Di Zio titolare dell’omonima azienda agricola che, oltre a produrre grani antichi, alleva polli, galline ovaiole e conigli. Da otto anni, appunto, riproduce quel rito che, nella storia della società agricola del territorio, nasceva spontaneamente e che caratterizzava un sistema di solidarietà e cooperazione capace di coinvolgere famiglie ed amici: la Trescatura. Il ritmo del motore della enorme macchina accompagna i gesti: c’è chi con forconi introduce nella rampa i fasci del grano raccolto che, meccanicamente verrà battuto per separare i chicchi dalla pula e dalla paglia. C’è chi sovrintende la pressa, chi la raccolta ed il posizionamento dei chicchi nel grande setaccio per l’ultima pulitura. Intorno è un brulicare di bambini, imitano i grandi, guidano piccoli trattori di plastica, in realtà si spera raccolgano il testimone di un mestiere antico. C’è la vita che odora di sudore e fatica ma c’è anche mantenere salde le radici al valore di una alimentazione che, da consuetudine radicata, sembra oggi un privilegio, soprattutto per chi vive in città.

Il racconto di Giuliano è una ideale macchina del tempo che ci trasporta in quel mondo rurale che apparteneva ai nostri bisnonni, arricchito dalla tecnologia e dai servizi moderni, un equilibrio che, mente e braccia dell’uomo, possono conquistare per un mondo migliore. Assaporiamo e condividiamo ogni parola, tra i ricordi di bambina che, evocati, riaffiorano nitidi.
“Mietitura e trescatura sono i momenti più importanti della lavorazione del grano. Noi in genere mietiamo intorno al 20 di giugno e prepariamo i covoni. Quando non c’erano le macchine era veramente dura perché si faceva con i cavalli e con i buoi e si aveva bisogno di tante squadre di lavoro. Con l’avvento della trebbiatrice ci vogliono meno persone e il lavoro dura meno giorni. Prima di me c’era mio cognato – ci tiene a precisare Giuliano– è da lui che ho attinto ogni conoscenza, io, poi, ho aggiunto la passione che avevo per i motori agricoli, così ho pensato di far conoscere a più persone quanto sia importante questa fase di lavoro, quanto può essere appagante. Da 8 anni è diventata una festa che si concluderà con una cena alla quale partecipano anche 100 persone”.
La condivisione salva la tradizione, tanto da esser rispettata anche l’usanza delle soste: sotto un gazebo allestito con tavoli e sedie, i trescatori vengono rifocillati con bibite, panini, porchetta e casciatelli. L’asinello agghindato con cestino e fiori è il giusto omaggio ad un mondo animale che è stato protagonista sotto la guida dell’uomo. Il rombo della trebbiatrice continua a dare il giusto ritmo, quasi un sottofondo musicale in un teatro all’aperto di mani e cuori. Quel gigante di ferro lo ha ricostruito ed assemblato proprio Giuliano, recuperando i pezzi originali.

“Quest’anno ho aggiunto la pressa a testa di cavallo che sono riuscito a comprare ricercandola su Internet. Risale al 1950. Devo dire che c’è un ampio mercato di vecchi macchinari, io compro tutto su internet, quest’anno ho comprato anche un trattore Super Landini, poi ne ho anche un altro, più piccolo che ha anche la sirena incorporata. Riesco a fare tutto questo, però, grazie ad una comunità di amici che mi aiuta, siamo veramente una piccola società innamorata del territorio. E questo che vedete è veramente un unicum, forse qualcosa c’è in altitalia, Emilia o Veneto ma in Abruzzo una macchina così non c’è!”.
Come riesci a tenere unita tutta questa comunità di colleghi agricoltori, amici e cultori?
Con i semi coltiviamo sentimenti, la nostra identità si è sempre basata sulla solidarietà: in passato tutti i contadini della zona si spostavano in massa per aiutare gli altri contadini e viceversa. Spesso si dialogava da collina a collina avvertendo se, per caso, arrivasse il brutto tempo o se ci fossero altri problemi da risolvere. Noi veniamo da quelle radici. Poi ci sono tanti appassionati quelli che, dopo aver assistito alla prima edizione, si sono affezionati ed ogni anno partecipano incantati da quello che succede, del resto da qui nasce il pane che è il primo cibo della nostra alimentazione.
So che hai voluto anche reimpiantare varietà di grani antichi?
I grani antichi come farro e solina, oltre alle qualità nutrizionali rendono più in salute la terra e riducono l’impatto ambientale: io ho allevamenti di polli e conigli, al cui mangime aggiungo la pula, la paglia la uso per creargli le lettiere e il letame lo uso per concimare, così che tutto ciò che è prodotto dalla terra ritorna alla terra. Il prodotto finale, la farina, entra in un circuito di filiera corta perchè la vendo direttamente qui in azienda o al Mercato Contadino di Pescara o ad un rivenditore di Silvi Marina. I grani antichi hanno, forse, meno resa ma quando tu rispetti la natura sei comunque un uomo più ricco e la ricchezza la distribuisci agli altri.
Sei felice?
Sono felice soprattutto perché posso fare questo con gli amici e con il supporto di mia moglie e dei miei figli che, malgrado abbiano un altro lavoro, mi seguono e mi aiutano. Con quello che ho speso per il Super Landini potevo andare in vacanza per 4 anni ma io sono legato alla mia campagna, ai miei terreni e preferisco la serenità di 365 giorni che la felicità di 15!

La serenità ha i capelli biondi e il viso dolce della moglie di Giuliano, Loredana, è lei il vero aiuto logistico di questa grande festa, che non si esaurisce nel capitanare la squadra di donne addette alla preparzione del cibo, c’è la forza dell’amore, una sinergia circolare che li rende un tutt’uno.
“Sai com’è Giuliano? Noi stasera finiremo a mezzanotte e lui domani mattina mi comincerà a chiedere se abbiamo fatto tutto bene, se la gente è stata contenta, se l’anno prossimo possiamo fare di più, come potrei non appoggiare un sentimento così vero e autentico?”
L’autenticità è il segreto dei segreti, qui è palpabile come la polvere d’oro che si perde nell’azzurro del cielo. Nell’incedere dei ritmi della vita moderna la ricerchiamo affannosamente eppure è lì, a portata di mano. Basterebbe rallentare un po’ e mettere a frutto ciò che il ciclo della natura suggerisce, proprio come fanno Loredana e Giuliano. Tra i lavoratori, cappello in testa e bandana a proteggere i respiri, c’è anche un vero mugnaio, Gabriele Cianci, responsabile del Mulino Cogecstre di Penne. Lì Giuliano porta i chicchi di grano per essere trasformati in farina. Lì, grazie alla Cooperativa Cogecstre nata nel 1980, nel cuore della Riserva Naturale Regionale Lago di Penne, si è dato via ad un progetto che coinvolge gli agricoltori locali, proponendo una coltivazione che rinunci all’utilizzo di fitofarmaci e concimi chimici:
“Io sono qui oggi- ci dice Gabriele– perché è importante partecipare e credere nel recupero e valorizzazione delle nostre coltivazioni. Reintrodurre nei nostri campi i grani antichi è un lavoro preziosissimo. C’è da dire che queste sementi non avendo bisogno di molto concime preservano in maniera ottimale la salute dei nostri terreni. Poi c’è l’aspetto legato ai valori nutrizionali: se prendiamo il farro, ad esempio, è un prodotto eccezionale con un apporto di proteine considerevole e facilmente digeribile. In cucina si adatta ad ogni tipo di menù.
Quale valore ha una iniziativa come quella di Giuliano?
Giuliano, prima di essere mio cliente, è una persona che stimo per la grinta con la quale riesce a sensibilizzare a tramandare e a far conoscere questa particolare tradizione agricola. Devo dire grazie a tutti gli agricoltori appenninici per sapere custodire e trasmettere l’importanza dei grani antichi, credo che in un mondo di conflitti, di corruzioni e di accadimenti negativi, l’ambiente agricolo sia ancora un mondo sano, un mondo di valori positivi.

Si giunge alla fine. I raggi del sole si stirano sulle fronde degli ulivi, il gigante d’acciaio ha smesso di borbottare, i sacchi di iuta gonfi di chicchi vengono trasportati nella rimessa, l’aria torna ad essere tersa e dalla cucina giungono i primi odori della cena. Nessuna penna riuscirà a raccontare in profondità le emozioni che si possono solo vivere, lo sguardo plana sul panorama del territorio di Loreto Aprutino, qui c’è un popolo di agricoltori che resiste e resta, aggrappato all’idea che ciò che mangiamo è ciò che siamo. Al loro sudore dovremmo riconoscenza, a noi stessi la consapevolezza che seguire un’alimentazione sempre più rispettosa dell’ambiente e della salute, sia uno degli strumenti per il raggiungimento dell’equità sociale.
Sabrina de Luca
















