PENNE – La ricostruzione interiore oltre a quella fisica degli edifici crollati nel terremoto.
A cinque anni dal sisma che ha colpito l’Aquila, Donatella Di Pietrantonio racconta le sfide che le persone hanno dovuto affrontare per andare avanti in “Bella Mia”, il suo nuovo romanzo che arriva in libreria per Elliot Edizioni il 27 febbraio, dopo il fortunato esordio con “Mia madre è un fiume”. “I protagonisti vivono in una delle diciannove new town che costituiscono tuttora la periferia disgregata dell’Aquila dove si sono perse le relazioni umane, dove gli abitanti sono dei deportati. E dopo cinque anni non è cambiato nulla, si muove qualcosa ma la ricostruzione è ancora tutta da fare” dice all’ANSA la Di Pietrantonio, che è nata in provincia di Teramo e vive con il compagno e il figlio a Penne, in provincia di Pescara, dove è dentista pediatrico. Storia di una perdita che sconvolge un’intera famiglia, “Bella mia” ha come voce narrante una gemella che alla morte della sorella si occupa del suo figlio adolescente insieme alla madre anziana. Il padre musicista affermato, che vive a Roma, non riesce a tenere con sè il ragazzo. “La protagonista – sottolinea la scrittrice – ha perso la gemella e vive con la madre anziana che ha perduto la figlia e con il nipote che non ha più la mamma. Una famiglia anomala, che non sarebbe mai esistita se non ci fosse stato il terremoto. Questa donna si trova davanti a una serie di sfide che farebbero tremare i polsi a chiunque. Ma in questo difficile percorso i personaggi mostrano che c’è la possibilità di trasformarsi inconsapevolmente, anche in situazioni estreme. Sono tutti e tre chiamati a una loro ricostruzione interiore sotto lo sguardo degli altri”. Di autobiografico non c’è nulla se non il fatto “che sono molto legata all’Aquila, è una città che amo” dice la scrittrice. Sono anche figlia unica ma “ho sempre sentito il fascino di essere gemelli” aggiunge. La gemella scomparsa è la più fortunata, la più forte e quella sopravvissuta che si è sempre sentita la minore e ha scelto di non avere figli “si trova a ereditare questo nipote, per di più nella complicata fase dell’adolescenza, che è un pò un estraneo” racconta l’autrice. Più che il terremoto, che è un tema importante ma non centrale, alla Di Pietrantonio interessava “mettere sotto la lente di ingrandimento le relazioni umane a un disastro, indagare la perdita, l’elaborazione del lutto. La narrazione – spiega l’autrice – è cominciata a distanza di tre anni dal sisma all’Aquila per mettere una distanza emotiva tra i personaggi e la tragedia”. Anche se l’Aquila diventa essa stessa personaggio. “Questi quartieri, le new town costosissime e nate come provvisorie cominciano a patire i segni del tempo, alcuni sono stati evacuati perchè non sono più sicuri però non c’è prospettiva di ritorno nel centro storico della città che ha una densità di monumenti paragonabili a quelli di Siena. Questo ha provocato mutazioni antropologiche: i giovani vanno via e non avendo spazi di aggregazione si ritrovano nei centri commerciali”. Non sono un’esperta ma mi sono molto documentata e posso dire che la gestione del terremoto all’Aquila è un caso unico di occupazione militare della città”. Nell’anno raccontato in Bella mia tutti cambiano e non lo sanno e il nipote più degli altri è “proiettato – dice la Di Pietrantonio – verso il futuro conservando le radici”.