Penne: il ruggito dei massoni. Il leone di Morganti e il suo segreto

PENNE – Chi volle quel leone di bronzo (firmato dal teramano Pasquale Morganti, un artista che studiò a Firenze) che rompe la catena cui è legato e quell’aquila che lo domina dall’alto dell’obelisco in piazzetta XX settembre? Chiarissimi emblemi di libertà che hanno fatto e fanno pensare agli ideali della Massoneria.

Già, perché potrebbe essere stata una loggia massonica a volere l’opera (presumibilmente ultimata nel 1916) che per questo forse non fu mai inaugurata. E’ quella dei “Martiri Pennesi del 1837”, fondata nel 1914 e scioltasi sei anni dopo, appartenente al Grande Oriente d’Italia (GOI). Erano il 23 e il 24 luglio 1837. Per quei tumulti popolari anti borbonici, ci furono 105 arrestati e 72 processati. Otto uomini (quelli ritenuti i capi: il notaio Antonio Caponetti, Francescantonio D’Angelo, Francesco Paolo Mantricchia, Emidio Antico; gli altri 4, complici: Bernardo Brandizi, Giuseppe Toppeta, Giuseppe D’Angelo ed Ambrogio Palma di Lama dei Peligni) a Teramo vennero processati da un tribunale di guerra e fucilati. Il plotone di esecuzione entrò in azione due mesi dopo nella piazza della Cittadella. E’ una delle pagine più nobili del Risorgimento italiano come raccontano Giovanni De Caesaris e Luigi Polacchi. I fucilati di Teramo non erano degli sprovveduti, come si volle far intendere per salvarli, perché Emidio Antico, Giuseppe Toppeta, Bernardo Brandizi ed i due fratelli D’Angelo, Giuseppe e Francescantonio, erano settari, cioè affiliati già della Carboneria e poi della Giovine Italia, i quali erano stati arrestati nel 1814 quando scoppiarono i moti di Città Sant’Angelo che portarono alla fucilazione ed alla decapitazione a Penne di don Domenico Marulli, del medico Filippo La Noce e del capitano Bernardo De Michaelis, unico non angolano ma di Penna Sant’Andrea, per mano dell’esercito franco-napoletano al servizio del re Gioacchino Murat. Così come è vero che riuscirono a riparare all’estero le vere menti della rivolta del 1837, e cioè personaggi come Domenico De Caesaris (a Corfù), Filippo Forcella (in Inghilterra) e Raffaele Castiglione in salvo a Marsiglia. Si tentò anche di scaricare sui tre la colpa della sollevazione popolare. E il leone di bronzo? “Probabilmente fu proprio l’iniziativa di innalzare il monumento ai Martiri Pennesi del 1837 che favorì la fondazione della loggia massonica e ne condizionò anche il nome”, spiega l’architetto Antonio Di Vincenzo, studioso di fatti locali e a capo di Italia Nostra. Non sarebbero stati ritrovati documenti comprovanti i rapporti fra la loggia e il comitato pro monumento nato nel 1907, anno in cui il Comune deliberò di ricordare i fucilati di Teramo lanciando un concorso di idee poi vinto da Morganti. Nel comitato, che raccolse anche dall’estero i fondi necessari (almeno 500 lire), non c’erano massoni, ma la natura del monumento fa pensare ad un collegamento fra la massoneria e la scultura. Un altro indizio è un’affermazione dello storico e sacerdote Giovanni De Caesaris che scrisse “per vari motivi il monumento non fu mai inaugurato”. Un’allusione alla massoneria? Del resto, Penne, città vescovile, accolse gli ideali massonici fin dal periodo napoleonico. Nel 1810, infatti, operava un’altra loggia: La Filantropia. Il 24 ottobre 1937, per il centenario, il podestà Vincenzo D’Alfonso organizzò una cerimonia cui prese parte il ministro Bottai: a Penne tornarono i resti degli otto martiri.

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