E SE SMOKE ON THE WATER LO SUONASSE UN BOMBARDINO
Intervista ad Antonio Acciavatti, più di quarant’anni fra le note di un pentagramma

di Sabrina De Luca

Antonio Acciavatti è la persona più adatta per parlare di bande, non solo perché è un musicista, non solo un docente, non solo ha il ritmo della chiara eloquenza della parola, ma perché dobbiamo a lui, come presidente dell’associazione Il Dolcimèlo, la ricostruzione della storia della banda dei Casamarte, voluta da Giovanni Casamarte nel 1894. Il barone scelse allora, come guida, il maestro bolognese Filippo Bertolazzi, esperto direttore che portò la formazione perfino al mitico Caffè Gambrinus di Napoli. Glielo dobbiamo proprio al maestro Acciavatti, a lui, ed al compositore loretese Dario Di Rocco, entrambi in prima linea nella faticosa attività di ricerca per ricostruire la memoria musicale dell’area vestina, tra fonti documentali, testimonianze orali e rari reperti fotografici. Perché la prima Mostra permanente sulle bande fu proprio loro opera associativa,allestita a Palazzo Guanciali che era anche la sede dell’attività formativa che avrebbe portato alla costituzione di una formazione di giovani musicanti che si esibirono per più di 10 anni su territorio.

E poi cosa accadde?

Il Sindaco Remo Giovanetti ci richiese la sede su sollecitazione del presidente della Fondazione dei Musei Civici (n.d.r. Vincenzo de Pompeis) credo per la prima edizione di Loreto View. Da allora fu tutto più difficile: come principio il luogo dove provare, dove incontrarsi, agevola il radicamento di una passione, di conseguenza non fu più possibile quel ricambio generazionale che, di solito avviene, nelle scuole di musica.

Porre fine ad un’esperienza così sedimentata ha dei costi, o meglio, perdite di valori che ricadono su tutta la comunità, possibile che ci si sia presi una responsabilità così grande?

Chiedemmo un’altra sede per non disperdere quell’esperienza ventennale sul territorio e ci fu concesso lo spazio della mensa della Scuola G. Rasetti ma solo temporaneamente, per riporre tutto il materiale, poi il locale ritornò alla destinazione didattica dell’Istituto. E così si concluse l’esperienza.

Nihil sub sole novum, recita la Bibbia, parliamo di cose belle

La buona notizia è che recentemente ci hanno offerto una sede non lontana da Loreto dove potremo ritornare a fare le nostre attività. Esistono gli uomini di buona volontà, così come esistono le persone che credono che non si faccia musica solo per diventare musicisti, così come per amare la musica non è necessario suonarla. Ma ci devono essere i luoghi dell’ascolto, la musica deve essere accessibile perché è un bene comune.

Questo lo dice anche il mio amico Donato Renzetti

E ha ragione, chi più di lui può testimoniare l’essenzialità della musica nelle nostre vite comuni? Ma pensi anche a quanti talenti rinunciamo, quante occasioni perdiamo. Nicolò Porpora, uno dei più grandi maestri compositori nel 1700, mentre insegnava nella elegante ed interessata Vienna imperiale, ascoltò un ragazzino cantare e lo prese sotto la sua ala facendolo studiare e progredire. Quel ragazzino si chiamava Franz Joseph Haydn e faceva parte del coro della Chiesa di Santo Stefano a Vienna. Il talento ha anche bisogno di occasioni e le occasioni le devi creare.

Soprattutto nella Italia delle piccole province che ha “inventato”, ad esempio, il melodramma

Noi siamo il paese del belcanto, del recitar cantando di Monteverdi, siamo il paese di Giovanni de’ Bardi, siamo quelli che a Venezia hanno aperto il primo teatro pubblico, il San Cassiano, fruibile da tutti, siamo la terra dei primi Conservatori, per non parlare di Verdi o Puccini, allora delle vere e moderne star internazionali. Potremmo dire che i canoni della musica, come del teatro, appartengono all’Italia fin dalla caduta dell’impero romano

Perché abbiamo abdicato in questo ruolo di creazione?

È impossibile dare una risposta univoca: sicuramente il sistema scolastico, che dovrebbe essere il primo a facilitare un percorso espressivo, ha per tanti anni dimenticato il ruolo che poteva avere nella educazione musicale. O meglio, la legislazione non ha mai permesso alla scuola di svolgere, in questo ambito, le proprie possibilità. Muti parlava delle due ore settimanali di musica nella scuola secondaria definendole insufficienti ad avvicinare i giovani. Oggi con l’indirizzo musicale opzionale attivato in alcune scuole secondarie e in alcuni licei, qualcosa è migliorato ma ci vogliono investimenti e scelte radicali. È stato presentato, da poco, un progetto di legge nato da una levata di scudi dei docenti per introdurre la Storia della musica nei licei e negli istituti tecnici. Credo che uno dei pochi Ministri che abbia avuto a cuore arte e musica sia stato Luigi Berlinguer che aveva posto le basi affinché la musica fosse insegnata come materia curricolare al pari dell’italiano e della matematica. I percorsi interrotti per i quali siamo ancora in pochi a batterci, a crederci.

Eppure la musica è il primo linguaggio universale, prima ancora dell’inglese

Prima della parola c’è il suono, i rumori della natura, i suoni gutturali umani, le allitterazioni fonetiche nate dalla imitazione. Mi viene in mente Proust che dice proprio come la musica avrebbe potuto essere l’unico esempio di linguaggio se non ci fosse stata la formazione della parola.

Ed oggi come può la musica essere comunicazione universale?

È stato dimostrato scientificamente che la musica riproduce schemi riconoscibili da tutti i popoli, oltre le lingue e le culture.

Quando mi capita, ad esempio, di suonare con colleghi stranieri, di fronte ad una partitura tutti parliamo lo stesso linguaggio e intendiamo cosa significhino le parole adagio, lento, piano, pianissimo, comunichiamo attraverso la musica anche senza parlare. Poi i grandi libretti d’opera che sono un viatico della lingua italiana, un vero mezzo di trasporto. Pensi a quanti ragazzi da tutto il mondo vengono ad apprendere l’arte del canto e contestualmente  imparano l’italiano attraverso Verdi, Donizetti, Rossini. Abbiamo un brand internazionale eppure non riusciamo a farlo fruttare nella massima potenzialità.

Lei ci ha provato a Loreto approfondendo la storia sulla banda, quale apporto alla storia della musica?

Le bande sono state l’esempio proprio del processo democratico della musica. A Loreto c’era la grande Casamarte ma parallelamente nel paese, come in tanti altri, si sono formate altre realtà bandistiche formate dalle maestranze locali, barbieri, sarti, falegnami, calzolai. Imparavano con dedizione la musica, erano dei veri processi civici di formazione, le famose occasioni di cui parlavamo prima, attraverso le quali scoprire talenti e trasformarsi in trampolini di lancio. Severino Gazzelloni, primo flauto dell’Accademia Nazioinale di Santa Cecilia ha esordito nella banda, ma potrei anche citare Domenico e Luigi Torrebruno, primi timpanisti rispettivamente del Carlo Felice di Genova e della Scala di Milano o anche Domenico Ceccarossi, primo corno anche lui di Santa Cecilia, tutte prime parti che provengono dalle bande cittadine. E se non ci fossero state queste scuole popolari? Oltre a creare degli indotti economici supplementari del reddito, queste piccole orchestre portavano le storie di Mimì della Bohème o di Violetta de La Traviata nei piccoli centri, portavano la cultura dove magari non c’era nulla o meglio, c’erano povertà e miseria, eppure il popolo imparava, accedeva al medesimo fatto musicale dei palcoscenici dei teatri borghesi.

Mi verrebbe da dire, un vero processo democratico

La musica è democrazia specie nell’ascolto ma lo è anche nel rapporto con la partitura perché è vero che sei solo con lo spartito ma tutte le parti devono raccordarsi tra loro, quello che leggono o quello che ripetono deve entrare a far parte di un “tutto”che produce il risultato solo se ognuno si sente parte e non la parte. Trovo la democrazia, ad esempio, anche all’interno della composizione.

Mi fa un esempio?

Immagini la fuga, la forma musicale tanto amata da Bach, in cui democraticamente si intrecciano i suoni, si incrociano queste linee melodiche rispettandosi a vicenda. Un modello democratico.

In effetti non è male dire che una forma di democrazia perfetta è la fuga… ma torniamo alla banda come fucina di talenti, quest’anno ricorrono 60 anni dalla morte di Otello Farias e 100 anni dalla nascita di Edmondo, storie di piccoli grandi bandisti

Sì, storie di uomini comuni, di piccoli eroi capaci di fare cose grandiose con umiltà e semplicità, bandisti emblema dell’arte di arrangiarsi pur di poter suonare. Fu proprio in occasione della celebre tournée americana che Aldo Settimi, grande clarinettista, raccontó tutto il suo orgoglio per aver conosciuto Benny Goodman a New York. Otello poi, nella banda di Chieti aveva un ruolo importante che corrisponde, per intenderci, a quello del Tenore nell’opera lirica.

Considerato che è impossibile ripercorrere la storia, ma come si fa a non disperdere un patrimonio culturale che, oltre esigenza tutelata dalla nostra Costituzione, ha un ruolo sociale così immediato?

Potremmo sicuramente creare sinergia tra la scuola e territorio perché, fortunatamente, sotto questo profilo in tutta l’area vestina si sono costituite delle scuole medie a indirizzo musicale, Penne, Loreto, Collecorvino, Spoltore, Città Sant’Angelo, Pianella e Montesilvano che hanno un percorso triennale in cui il ragazzo sceglie di studiare uno strumento musicale. Ogni scuola ha attivato quattro classi strumentali di cui in una o due classi si studia uno strumento a fiato: a Penne la tromba, a Loreto e Collecorvino il clarinetto, a Città Sant’Angelo il flauto, a Spoltore il saxofono, a Montesilvano il flauto ed a Pianella il flauto e il clarinetto. Vede, già sulla carta avremmo un quartetto di fiati! Ci sono poi tanti musicisti i cui saperi si potrebbero convogliare in quell’obiettivo hub di cui Lei mi ha parlato. A livello scolastico opera l’Orchestra Vestina, un realtà musicale formata dagli allievi dei vari indirizzi musicali. A Collecorvino, Matteo D’Agostino, trombettista compositore e direttore di banda, sta scommettendo sulla nascita di una banda giovanile. Bisogna scommettere sulla cultura attraverso una nuova progettualità e poi credere nei ragazzi, la musica è sempre contemporanea, a prescindere che si ascolti Bach, Verdi o i Deep Purple.

O magari tutti e tre insieme

Assolutamente, io ho ascoltato arrangiamenti bandistici su pezzi di dei Queen, Elton John, Led Zeppelin, questo sarebbe un altro apporto al metodo, lavorare sull’ampiezza del repertorio: le dico che c’è una grande letteratura internazionale, tanti bravi maestri che lavorano in tal senso, cataloghi mondiali dove trovi tutti i brani possibili per una formazione di fiati e percussioni.

Questo permetterebbe di sfatare anche un po’ di pessimismo e luoghi comuni sui nostri ragazzi che qualcuno vuole solo cyberdipendenti, annoiati, senza interessi

Io credo nei giovani, lavoro e vivo con loro: ai miei allievi dell’istituto comprensivo Dante Alighieri di Spoltore così come a quelli del Troiano Delfico e dell’Ignazio Silone di Montesilvano dico sempre che la musica si divide solo in buona o cattiva, basta renderla accessibile. Mozart stesso prima di essere il musicista universale che conosciamo è stato un giovane sperimentatore. La sperimentazione va di pari passo con la conoscenza.

Su questo ultimo spunto compiamo l’ultimo volo pindarico, il maestro Acciavatti ci ricorda l’esperienza meravigliosa del venezuelano José Antonio Abreu, tra l’altro figlio di bandista, morto nel 2018 dopo un lavoro lunghissimo fatto sul El sistema, un progetto  integrato e gratuito per i bambini delle periferie più emarginate che è, piano piano, diventato un esempio internazionale.

E sapete chi in principio ispirò Abreu? Un italiano del 1700, Antonio Vivaldi. Dobbiamo andare proprio all’Estero per riconoscerci dei geni?

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