De Minimis

di Giovanni Cutilli
Nell’immota atmosfera pennese sembra furtivamente muoversi qualche refolo d’iniziativa. Alcune opere pubbliche, di consistenza lieve ma sufficiente a dar l’idea di un’attenzione non più negata o dell’affiorare di una punta, pur sfinata, di orgoglio domestico, ha sbrecciato la monotona inconcludenza che da troppo tempo, ormai, condanna una Città già smarrita per l’affievolirsi di tradizionali e, un tempo, solidi punti di ancoraggio, sociale ed economico: comune, ospedale, “fabbrica”.

 

Non sappiamo se si tratta di virgulti che anticipano una nuova, futura primavera cittadina o di sommovimenti inerziali consumati nella prigionia senza tempo di un’irreversibile decadenza, come all’interno di un ipogeo egizio. Sappiamo però che le chine si possono risalire, magari lentamente, passodopopasso, “step by step”, per gli innamorati delle culture barbariche. Certo, quella pennese più che una china è un calanco friabile, un profondo scoscendimento ma se ci si arrampica sulle falesie è possibile, forse, che riprenda un po’ del suo antico smalto anche Penne, grosso “borgo”, annoverato, con qualche sospetta generosità, tra i più belli d’Italia ma del quale ci si accontenterebbe lo stesso se si mantenesse all’altezza di una dignitosa vita, di uno standard di funzionalità e di un livello di confort. Elementi, questi, che concorrono a conferire ricchezza qualitativa ai centri minori.

Certo, il tema delle risorse è il rovello che incombe su ogni programma, su ogni attività di governo. Ma, d’altro canto, non si può rimanere inattivi. Occorre agire individuando qualche criterio di metodo, utile a declinare azioni, iniziative o, se gli obiettivi sono più ambiziosi, politiche adeguate, almeno nel rapporto costo/benefici; a soddisfare necessità pure semplici della gente, per alcuni versi anche banali, ma concrete e di carattere non necessariamente economico. Nella vita di una comunità, infatti, ci sono anche esigenze di diversa natura che, tuttavia, incidono sulla qualità di vita e sono degne di attenzione. Spesso, non implicano neppure onerosi impegni. Per esempi, quello della viabilità cittadina è un problema assai rilevante per Penne.

Il centro storico ha una sola strada transitabile: il budello che l’attraversa per l’interezza dei due colli, scavallandone uno, Colle Castello, lungo via dei Vestini, e circonvallando l’altro, Colle Sacro, lungo Corso Alessandrini. Da essa si dipartono solo tre vie di fuga: le prime due, via dei Martiri Pennesi e via Dante Alighieri, brevissime; la terza, via Roma, che è anche un tentativo di percorrenza del Centro, ormai quasi ardito, se non semplicemente improponibile, per i modelli di auto di oggidì, ma anche inutile per gli stessi pedoni che hanno alternative, anch’esse lillipuziane, ma col pregio di abbreviare i percorsi. All’esterno del centro storico, una sola altra strada ne lambisce i contorni, la ss 81, sulla quale, ad alcune centinaia di metri dall’“arco” di S. Francesco, principale Porta d’ingresso del paese, confluisce l’ex ss 151. Già questa conformazione strutturale è una condanna irrimediabile per un paese delle dimensioni di Penne, all’interno e a ridosso del cui centro storico vivono e si muovono, comunque, alcune migliaia di persone.

La viabilità primaria cittadina è costituita da “invarianti strutturali” che la penalizzano irrimediabilmente. Comparando l’assetto urbanistico dei centri storici di Atri e di Città Sant’Angelo con quello di Penne si comprendono bene le “costrizioni” e l’asfitticità della sua conformazione. Ormai, nelle ore di punta, percorrere viale S.Francesco, la Circonvallazione o via Caselli è come entrare a Roma di mattina; dal “Boschetto” a viale Ringa, negli orari “proibiti”, non bastano venti minuti. Insomma, avendo compromesso, nel passato, per insipienza, miopia, codardia o interessi, la realizzazione di percorsi alternativi (solo per dare uno sbocco a Via Verrotti ci sono voluti decenni!), diventa cruciale la scorrevolezza del traffico e il rispetto di regole minime di civismo. Quello spesso mortificato, per esempio, in via Caselli, al mattino, nell’accompagnare gli scolari alle elementari “Mario Giardini”. Sono in troppi a sostare dove capita, anche intralciando le manovre dello Scuolabus. Queste performance maleducate si ripercuotono, icto facto, sul traffico, interrompendone la fluidità. E’ un esempio, ma lungo il percorso di guerra delle due strade cittadine e nei pochi incroci che attraversano si determinano criticità rilevanti che richiederebbero di essere non risolte, essendo impossibile, ma almeno governate con più coraggio.

La pulizia della Città è un'altra realtà disdicevole. La sporcizia prodotta dai piccioni è un’indecenza di cui vergognarsi senza indulgenze ma di cui, invece, sembra non debba preoccuparsi nessuno, nemmeno il gestore del servizio di nettezza urbana al quale, infatti, non s’impone l’utilizzo di mezzi idonei a rimuoverla. Così la sporcizia può essere vomitevolmente “rimirata” lungo il Corso principale, specie agli angoli di palazzi e nei tratti prospicienti locali vuoti o non utilizzati, privi d’affaccio di negozi, i cui titolari, sono i soli a farsi carico, da sempre, della rimozione di quel genere di rifiuto dallo spazio antistante i propri esercizi.

Che igiene viene assicurata nei negozi di vendita di alimenti, considerato che prima di accedervi si calpesta il guano? A che servono Regolamenti sanitari comunali, provinciali, regionali, nazionali, internazionali e planetari, se poi non si tenta neppure di “mettere in sicurezza”, mutuando una delle più idiote espressioni gergali della contemporaneità, gli esercizi, da una così fetente fonte di rischio di insalubrità? Ma se non vale questa argomentazione a smuovere la colpevole e consolidata indolenza sulla questione, figuriamoci se possono risultare più convincenti ragioni di decoro ambientale o estetiche! Così come, una battaglia che varrebbe la pena di combattere è quella con l’Ente (GTM o chicchessia) proprietario delle aree di risulta della vecchia stazione ferroviaria.

Se è stato possibile per il Comune di Pescara (pur con la decisiva iniziativa e l’interessamento costanti di un sottosegretario di Stato) acquisire analoghe aree attorno alla vecchia stazione centrale di FS, già di proprietà di una società partecipata da FS, dovrebbe essere possibile pure per il Comune di Penne. Quegli spazi, una volta nella disponibilità comunale potrebbero essere destinati a parcheggio. Poi, però, si, dovrebbe impedire la sosta, oggi abusiva e d’intralcio, sul marciapiede di viale S. Francesco (e anche nei dintorni).

E’ necessario, insomma, che si torni a decidere anche sulle cose minime che non richiedono progettazioni da Grandi Opere né assise di giureconsulti e neppure investimenti milionari, per essere affrontate ma, più semplicemente, volontà di ascolto e attenzione recettiva per soppesarne la rilevanza, ancorché spicciola, sulla qualità di vita dei cittadini e praticare le soluzioni possibili.

L’alternativa è di indurre molti alla nenia lamentevole, utilizzata, comprensibilmente ma non giustificatamente, come valvola di sfogo per inappagati sogni di vita cittadina che, in effetti, anche le popolazioni barbare, più a nord delle nostre, hanno da tempo soddisfatti. Sarebbe però fare come chi si appella a una maggior presenza delle forze di polizia sulle nostre mulattiere, ss 81 e ex ss 151, vere e proprie arterie stradali criminogene, lamentandone un presunto insufficiente controllo da parte delle forze dell’ordine, viste, ormai, come Cirenei: gli si addossano tutte le croci.

E, non bastasse, li si beffa pure. A Carabinieri e Polizia gli tagliamo infatti 60 milioni di euro in due anni (2012-2013), una delle decisioni più scellerate che mai siano state prese negli ultimi decenni. E’ ovvio, allora, che sconcerti l’averli visti, da un lato, abbandonati a loro stessi, nel difendere le ragioni della stoltezza e della temerarietà di quei tagli, e, dall’altro lato, vederli oggetto di esortazioni e pretese, perché siano più presenti sul territorio, come se non gli si lesinassero le risorse. Intanto, ci teniamo le province che, solo per finanziare il proprio costo politico, ossia, per le indennità di presidenti di giunte e di consigli, dei loro vice e quelle degli assessori, spendono più del doppio dei soldi tolti all’Arma e alla PS: circa 135 milioni di euro!

Entriamo nel club dei “borghi più belli d’Italia” ma non ci preoccupiamo del guano dei piccioni; togliamo soldi alle forze dell’ordine e poi le vogliamo in massa sulle strade, per la nostra sicurezza. Insomma, fichi secchi e nozze da favola! Tipicamente italiano. Que viva Italia!

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