FIGLI DEMOTIVATI DAI GENITORI MANTENUTI DALLE PENSIONI DEI NONNI E DAL REDDITO DI CITTADINANZA.
“Cresciamo figli privi di autostima e identità. Hanno bisogno di mamma e papà anche per un colloquio“, questo il commento sull’ HuffPost del professore Andrea Castiello D’Antonio, specializzato in psicologia del lavoro. “I genitori – continua D’Antonio – credono di proteggere i figli, ma questa ‘campana di vetro’ invece di motivarli li spinge indietro perché non li aiuta a maturare, a prendersi le proprie responsabilità”. Secondo il professore Andrea Castiello D’Antonio, è sbagliato fare di tutta l’erba un fascio: ci sono anche giovani volenterosi che si fanno in quattro per ottenere un lavoro o che partono per l’estero in cerca di fortuna. “Cosa dovrebbero fare – chiede il giornalista dell’HuffPost ilaria Betti al professore – una mamma e un papà di fronte alla richiesta del figlio di accompagnarlo ad un colloquio di lavoro?” “Non dovrebbero andare – sostiene il professore. Dovrebbero, invece, mettersi a tavolino con lui e aiutarlo, immaginare le cose da dire, preparare insieme la sfida. Una delle cose che nota chi seleziona è l’autonomia del candidato, la capacità di iniziativa, di far fronte agli eventi, di reagire allo stress e di certo presentarsi con i genitori non è un buon biglietto da visita”. L’istinto di protezione delle famiglie nei confronti dei giovani, nell’epoca della crisi economica, si è allargato a dismisura, secondo lo psicologo. E questo non è sempre un vantaggio per i ragazzi: “Le mamme e i papà sono preoccupati per la situazione socioeconomica del Paese e cercano di prolungare la protezione dei figli fino a quando possono. Tanti, ad esempio, per mantenerli utilizzano le pensioni dei nonni. Ma questa ‘campana di vetro’ invece di motivarli li spinge indietro perché non li aiuta a maturare, a prendersi le proprie responsabilità. E così molti si accontentano del limbo, di avere un sussidio, un piccolo aiuto economico, di tirare avanti”.
DOVE SONO I GIOVANI?
Partiamo da questa intervista per parlare con un imprenditore di Penne che, con una azienda solida alle spalle ed offrendo buone retribuzioni, non riesce a trovare personale da assumere.
“La ditta esiste dal 1990 – esordisce, con un sorriso di compiacimento, Adriano Tonelli, titolare della omonima ditta, davanti ai nostri microfoni. “Attualmente in organico ci sono 45 dipendenti, tutti residenti nei paesi della vestina”.
Di cosa vi occupate?
Lavoriamo nel campo elettrico, per un unico committente: ENEL distribuzione. Costruiamo le reti che trasportano energia, della media e bassa tensione.
Si, ma entriamo nello specifico
La rete di distribuzione viene realizzata o per via aerea, palificando il terreno, o interrata, collocando le tubazioni sottoterra. Quindi il lavoro viene svolto en plein air, all’aperto, e non dentro quattro mura.
Dove operate maggiormente?
In Italia il nostro campo d’azione è il centro-nord: Abruzzo, Lazio, Toscana, Umbria ed Emilia Romagna. Negli ultimi anni abbiamo lavorato poco nella nostra regione, ma i diversi appalti vinti, poco tempo fa’, proprio in Abruzzo significa lavorare sul nostro territorio almeno per un quinquennio.
Ma solo se riuscita a reperire il personale per riconsegnare i lavori. Giusto?
Diciamo che i problemi di reperimento di personale li ho avuti fin da quando ho iniziato quest’avventura. Piano piano ho formato i dipendenti che assumevo arrivando, oggi, a dirigere una ditta di tutto rispetto ma che non soddisfa le potenzialità di crescita che offre questo settore. Insomma, tanto lavoro ma poco personale. In questo momento c’è tanto lavoro per quanto concerne la fibra ottica: la TIM posa i conduttori di fibra ottica insieme alle linee elettriche e quindi abbiamo e dobbiamo ripotenziare tutte le palificazioni e condutture dell’ENEL.
Quindi c’è bisogno di manodopera e purtroppo non si trova: secondo dove vanno ricercati i motivi di questa scarsa reperibilità della forza lavoro?
Il primo ostacolo, per molti, è quello di andare a lavorare fuori regione nonostante la mia ditta paghi loro vitto e alloggio, non devono pensare a nessun’altra spesa. Il secondo ostacolo, e non posso negarlo, il lavoro è abbastanza faticoso: noi operiamo anche in regime di reperibilità, 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno, ed a turno i dipendenti devono lavorare anche di sabato e domenica e nelle festività. Il compenso è alto ma questo non interessa alla gente. Inoltre, lavoriamo in qualsiasi condizione atmosferica: sotto la pioggia, la neve e sotto il sole.
Solo questi i motivi o crede che ci sia altro?
Paradossalmente penso che la gente “non ha più fame”: i problemi della reperibilità della forza lavoro non ce li ho solo io, ma ci sono altri settori in crisi e penso soprattutto all’agricoltura. E allora la domanda che spesso mi faccio è la seguente: dove stanno i giovani che decidono di non proseguire con gli studi universitari? Sono chiusi in casa? Al bar? Come campano? Sulle spalle dei genitori?
C’è possibilità di invertire la rotta?
Credo che lo Stato dovrebbe riaprire le famose scuole professionali: le università non sono per tutti, l’unica strada da percorrere per approdare alla vita lavorativa o per soddisfare le esigenze lavorative delle aziende. Se un ragazzo dopo la terza media non ha la capacità di affrontare gli istituiti tecnici, dovrebbero consigliargli l’istituto professionale che, ahimè,sono stati chiusi. Quindi chi ci governa, in questo caso in Abruzzo, dovrebbe ritornare sui propri passi e puntare, per colmare questo vuoto lavorativo, nuovamente sugli istituti di formazione professionale.
Quanto della sua esperienza?
Al secondo ragioneria, mi accorsi che non avevo la capacità e la forza di andare avanti, che non era quella scuola adatta per me e ripiegai sulla scuola professionale, la Paolo VI di Pescara.
Le scuole presenti sul territorio potrebbero fare da filtro, cioè indirizzare i ragazzi sulla strada da seguire attraverso degli incontri con le aziende per far capire loro in maniera autonoma che forse il futuro per loro non è l’università?
A gennaio ho mandato una lettera a tutte le scuole di Penne chiedendo loro se vi fossero ragazzi, del quinto superiore chiaramente, volenterosi di intraprendere il nostro lavoro, attraverso anche dei colloqui. Nessuno mi ha risposto, neanche per dirmi che stavo dicendo corbellerie. La mia è stata una provocazione, lo ammetto, però ho cercato di muovere le acque.
Gianluca Buccella
Capisco la difficoltà nel riperire personale e la frustrazione che ne deriva. Tuttavia lavoro specificamente nell’ambito della selezione del personale e la situazione è ben più complessa per poter essere superficialmente sintetizzata con il classico (e piuttosto sciocco) luogo comune che “i giovani non hanno voglia di lavorare”. Il signore nell’articolo ammette egli stesso che “Il primo ostacolo, per molti, è quello di andare a lavorare fuori regione” – questo è in evidente contrasto con il fatto che i giovani non vogliano lavorare, e automaticamente fa puntare il dito indietro: se i giovani preferiscono andare fuori regione piuttosto che lavorare in casa tra famiglia e amici, siamo sicuri che le condizioni offerte siano attrattive?
Spesso le accuse dicono più di chi accusa che degli accusati.
In caso voleste fare un servizio serio sulla situazione lavorativa attuale, vi consiglio di affidarvi ad un professionista che fa selezione per lavoro, con l’esperienza che ne deriva.
Gentile signor Ercolani, in primo luogo grazie per il Suo intervento che ci consente di proseguire in quello che sarà l’approfondimento anche dell’edizione cartacea. Non siamo noi né il nostro intervistato a dire che i giovani non hanno voglia di lavorare: se legge bene siamo partiti da un’intervista dell’Huffpost, giornale ben più blasonato del Nostro, che ha posto il problema in un certo modo e noi abbiamo cominciato a voler porre l’attenzione se fosse veramente questo il problema. Per il Nostro intervistato, che sottolinea solo la carenza di manodopera, la risoluzione del problema potrebbe essere la riapertura di un certo tipo di scuole. Ora Lei potrebbe essere non d’accordo ed avere altre soluzioni che è legittimo e sacrosanto ma dire che qualcuno accusa o dire che si è scritto che i giovani non hanno voglia di lavorare è altra cosa. Come giornale siamo aperti all’ascolto ed al confronto, se continuerà a seguirci vedrà che approfondiremo anche altre situazioni. Grazie per l’attenzione