Il sequestro Gancia, le Brigate Rosse e la tragica fine dell’appuntato pennese Giovanni D’Alfonso, cinquant’anni dopo. Martedì mattina in un clima un pò surreale si apre ad Alessandria, in corte d’Assise, il processo a carico di Mario Moretti, Renato Curcio e Lauro Azzolini: i primi due per concorso in omicidio, l’ultimo come esecutore materiale del militare di 45 anni padre di tre figli assassinato alla cascina Spiotta, vicino Acqui Terme, da un nucleo di brigatisti rossi che per meno di un giorno aveva sequestrato l’industriale vitivinicolo Vittorio Vallarino Gancia. Ne faceva parte di sicuro Margherita Cagol, la moglie di Curcio e co-fondatrice dell’organizzazione, che rimase uccisa nel conflitto a fuoco in coda al blitz con cui una pattuglia di carabinieri di Acqui Terme, diretta dal tenente Umberto Rocca rimasto gravemente menomato e in cui prese posto l’appuntato D’Alfonso, scovò il luogo di detenzione dell’ostaggio.
Alla fine, un brigatista (benché le prime cronache parlarono di ben due terroristi) fuggì nella boscaglia adiacente l’aia. Per quella vicenda Lauro Azzolini, 80 anni, brigatista dissociato, 26 anni di carcere scontati, venne prosciolto nel 1987 in istruttoria ad Alessandria, ma il suo fascicolo è svanito nel nulla. Ora la procura della Repubblica di Torino è convinta di averlo individuato grazie ai due anni di intercettazioni attivate su di lui e da cui emergerebbe una sostanziale confessione. Per Moretti e Curcio invece è scattata l’accusa di omicidio per aver organizzato e diretto, anche per loro stessa ammissione nei propri libri autobiografici, il sequestro: il primo per autofinanziamento delle Brigate Rosse.
Molte le ombre da chiarire anche se cinquant’anni dopo. I familiari di D’Alfonso, i figli Bruno (nella foto sotto), Cinzia e Sonia, si sono battuti costituendosi parte civile dopo aver dato il via ad un esposto in seguito a un’indagine giornalistica iniziata nel 2018 da Berardo Lupacchini e Simona Folegnani sfociata in due volumi (“L’invisibile” e “Radiografia di un mistero irrisolto”). Fra i testimoni convocati spiccano Enrico Fenzi (“Il nucleo storico nutriva il risentimento verso Moretti perché lui scappò alla Spiotta…”) e Patrizio Peci.
Ma chi conosce di sicuro i particolari è senz’altro Massimo Maraschi, il brigatista arrestato il 4 giugno ’75 e che ha scontato 24 anni di carcere per quel rapimento. Atteso anche Leonio Bozzato, la fonte Frillo del servizio segreto (Sid) che, identificato nell’inchiesta giornalistica per la prima volta, ha dichiarato agli inquirenti di non ricordare oggi l’uomo che scappò dopo averlo rivelato a suo tempo. Per il resto, tutti deceduti i carabinieri di quella pattuglia così come Lucio Prati e Stefano Regina che intervennero per primi sul posto, mentre è vivente Domenico Palumbo. Davide Steccanella, avvocato di Azzolini, grida allo scandalo per un processo assurdo e reso irregolare da una serie di vizi investigativi. In corte d’Assise, esordio per l’ex giudice Guido Salvini, avvocato di parte civile insieme ai colleghi Nicola Brigida e Sergio Favretto.