Non avevo mai visto La notte dei Serpenti e la curiosità di conoscere Enrico Melozzi è nata quando ho saputo che il direttore abruzzese- e quando sento Abruzzo il sangue nelle vene mi ribolle dall’emozione- avrebbe diretto alla Scala di Milano, il 4 giugno 2025, il gruppo 100 cellos di Giovanni Sollima nell’opera composta dallo stesso Sollima, Tucidide, Atene contro Melo, con la regia e voce narrante di Alessandro Baricco. A Baricco devo l’inizio della familiarità con l’opera lirica, grazie alla trasmissione televisiva L’amore è un dardo che seguivo alternando le parole dello scrittore torinese a quelle di papà che assentiva, o dissentiva, ricordando le sue recensioni della grande lirica alle terme di Caracalla, come inviato del Giornale dei Carabinieri.
Giovanni Sollima ed il suo violoncello, li conobbi presso l’Abbazia di San Firmano, nel 2001, per la prima esecuzione assoluta del melologo composto da lui stesso in onore di Matteo Ricci -Li Madou, In tutto fatto un China, per la voce recitante di Ruggero Raimondi, violoncello solo e live elctronics. Ho perso l’appuntamento al teatro scaligero ma non mi sono fatta sfuggire l’occasione delle vacanze abruzzesi per contattare il Maestro Melozzi e parlare con lui di musica, dopo aver visto, alfine, la famosa Notte dei serpenti. Seppur non ami seguire il teatro musicale in televisione, riconosco che un certo impatto emotivo quello spettacolo me lo ha dato, non foss’altro che per aver potuto riascoltare le canzoni di Ivan Graziani che ha fatto riaffiorare l’adolescente che lacrimava sulle note di Firenze Canzone triste e che vantava agli amici le radici abruzzesi del cantautore. La scelta di non raccontare lo scambio di vedute che si è consumato in questi giorni, tra social e articoli di giornali, si nutre della consapevolezza ed il rispetto che ho per la libertà di opinione, sacrosanta e, per me che scrivo, sempre linfa di occasione di crescita e miglioramento.
La mia intervista, quindi, partirà proprio da Giovanni Sollima come transfert di credibilità della competenza musicale di Enrico Melozzi.
Maestro, pensa sia possibile portare Sollima e i suoi violoncelli sul palco della Notte dei Serpenti?
Ci penso fin dalla prima edizione. I Centocellos e Giovanni Sollima sono una parte del mio cuore. È logico che prima o poi questa cosa avverrà, perché sento che appartiene al destino naturale di questo progetto. Anzi, il mio sogno sarebbe affidare un’intera edizione alla direzione artistica di Giovanni Sollima, se lui accetterà. Credo però che il Festival non sia ancora sufficientemente consolidato per un passaggio di questo tipo. Serve più tempo, serve che noi — come pubblico e come comunità — diventiamo davvero consapevoli del nostro potenziale. L’ho detto più volte: La Notte dei Serpenti esiste innanzitutto per far conoscere l’Abruzzo a chi non lo conosce, e per far riscoprire agli stessi abruzzesi il valore delle proprie tradizioni. Le prime dieci edizioni, almeno, hanno questo scopo: restituirci consapevolezza, orgoglio, fierezza. Quando questo sarà pienamente acquisito, sarà il momento di aprire la visione ad altri grandi artisti e permettere che il progetto si arricchisca di nuove prospettive. Per ora, questo compito tocca a me.
Ricorrono i 50 anni dal debutto della La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone, è immaginabile che si possa arrivare alla composizione di un teatro musicale che identifichi l’Abruzzo? Lo farebbe?
La Gatta Cenerentola è stato uno dei più grandi successi di teatro musicale popolare al mondo. Ovviamente sì, ci ho pensato anch’io e ci sto pensando da tempo. Ci tengo a chiarire una cosa: quando abbraccio una causa, un progetto culturale, io dedico 24 ore su 24 per mesi a studiare quello che devo proporre. Non è un’idea buttata lì al bar da realizzare in cinque minuti. Per La Notte dei Serpenti, per esempio, ho riflettuto un anno intero: sei mesi solo per trovare il nome giusto e altri sei per definire la proposta artistica e lo sviluppo generale del progetto, che per me significa rinascita culturale dell’Abruzzo attraverso la musica popolare, ma con uno sguardo a tutti i generi e linguaggi musicali.Perché io non sono un musicista che si occupa solo di tradizione: abbraccio tutti i generi. La musica popolare è solo una delle lingue che parlo e la pratico quando dirigo la Notte dei Serpenti, oppure in contesti specifici come la Notte della Taranta, l’Albania, la Romania o Cuba.
Ma è solo una parte della mia dialettica musicale. Ecco perché mi fa sorridere quando qualcuno pensa di suggerirmi idee che in realtà ho già maturato da tempo. È raro che un suggerimento mi colga impreparato, e quando succede lo accolgo volentieri, ma spesso arrivano critiche travestite da suggerimenti, soprattutto da certa politica, e lì la cosa mi innervosisce perché manca la buona fede. Detto questo, sì: un musical abruzzese è già nei miei pensieri. Sto lavorando a un progetto insieme a Massimo Cervelli, notissimo speaker di Rai Radio 2. Abbiamo già materiale forte, perché il patrimonio dei canti popolari abruzzesi è enorme e può costituire l’ossatura dello spettacolo, arricchito da brani originali scritti ad hoc. In gran parte la struttura c’è già: manca solo la parte delle risorse, perché un musical richiede un impegno produttivo importante. Io credo che, con il giusto sostegno anche dal privato, potremo davvero arrivare a realizzarlo.

Il brand La Notte dei Serpenti può diventare l’idea di un Festival diffuso in tutta la Regione con la possibilità di mettere a disposizione delle espressioni artistiche locali un format che è transpopolare e valorizza l’esperienza musicale come rigeneratrice di radici?
La Notte dei Serpenti nasce già con quell’intento. Però io ho una visione molto severa dello spettacolo, fare una serata come Iddio comanda significa applicare i criteri dei grandi concerti, ed è ciò che avete visto, un concerto di altissimissimo livello che richiama decine di migliaia di persone. Per ottenerlo servono grandi ospiti, anche quando c’entrano poco con la nostra tradizione, perché in Italia non esiste un grande ospite legato davvero alla tradizione abruzzese, questo è un dato di fatto, e bisogna farci pace. I grandi ospiti non sono un capriccio, sono una leva artistica e mediatica, e pesano poco sul bilancio, intorno al 5, massimo 10 per cento. I costi veri sono palco, tecnica, luci, scenografia, fonia, e soprattutto sicurezza. Dopo il famoso episodio di Torino la sicurezza è diventata il capitolo più impattante di tutti, e giustamente. Le polemiche del tipo “che c’entra quello con l’Abruzzo” sono un riflesso condizionato.
Quei pochi che c’entrano li ho chiamati tutti, qualcuno è già venuto, qualcuno verrà, ma se vogliamo parlare a un pubblico ampio dobbiamo costruire un’architettura artistica più larga, transpopolare, capace di rigenerare le radici senza rinchiuderle.Il festival diffuso è un’idea bellissima e complessa. Se La Notte dei Serpenti, una sola serata, pretende il massimo livello di tecnica e professionalità, un festival itinerante deve garantire lo stesso standard in ogni tappa, e questo significa investimenti molto importanti, parliamo di almeno 10 milioni di euro. In una Regione dove ogni ventiquattr’ore qualcuno usa il nostro nome per fare polemica, dove si mette a confronto la cultura con le bocce, con la sanità, con le fragilità sociali, io considero già un piccolo miracolo essere riuscito a fare il concerto. Il festival lo realizzo solo se posso mantenerne la qualità, altrimenti non sono l’interlocutore giusto. La porta è aperta agli imprenditori abruzzesi che sentono questa urgenza come me e vogliono metterci risorse vere, perché le cose vanno fatte ad altissimo livello, oppure è meglio non farle.
Qualcuno ha detto di uno spettacolo dal vivo molto più coinvolgente rispetto alla sintesi trasmessa in televisione, questo accade a tutti gli spettacoli, forse, però è riuscito anche a far conoscere ai giovani un brano stupendo come Taglia la testa al gallo di Ivan Graziani, dimostrando come non esista un confronto tra tradizione e innovazione ma che la storia è sempre tradizione che si rinnova. Dove vorrebbe che arrivasse La Notte dei Serpenti?
Sinceramente non sono d’accordo con chi dice che la televisione restituisca meno emozione, perché La Notte dei Serpenti è pensata fin dall’inizio come spettacolo televisivo: tutto quello che facciamo è in funzione della registrazione per la Rai, non il contrario. È vero che chi era presente al concerto ha vissuto un’energia particolare, ma le differenze sono minime. In televisione è andato praticamente tutto lo spettacolo, canzone per canzone, tranne Quand’è belle lu prim’ammore che ho deciso personalmente di escludere per motivi di tempo e perché non ero del tutto soddisfatto della resa. Sono stati tagliati i dialoghi, ma le canzoni sono arrivate integralmente e, anzi, con un suono televisivo più curato rispetto a quello percepito dal vivo. La vera differenza è il volume e l’effetto rituale. A casa ascolti in pochi, magari da soli. In piazza, con trentamila persone, si crea un clima collettivo, una sorta di rito: è lo stesso che accade al cinema. Ricordo quando da ragazzo andai a vedere Johnny Stecchino di Benigni in una sala quasi vuota: non risi quasi mai. Tornato il sabato sera, con la sala piena, gli amici, le ragazze, il film diventò travolgente. L’energia collettiva cambia la percezione, e lo stesso avviene a un concerto.
Quanto agli obiettivi, io considero già raggiunto quello principale: dimostrare che l’Abruzzo può avere un evento di livello nazionale e internazionale, capace di far parlare di sé attraverso la musica popolare. Ora vorrei ingrandire il progetto, farlo esplodere ancora di più: immagino edizioni invernali, tour nei teatri, un festival diffuso, laboratori nelle scuole elementari per insegnare i canti popolari, un coro e un’orchestra stabili. Tutto questo però richiede enormi risorse e una volontà politica e imprenditoriale capace di guardare lontano. La maggioranza ha già capito l’importanza di questo progetto, ma serve un clima più sereno per arrivare davvero lontano. Con le risorse giuste, La Notte dei Serpenti può diventare molto più di un concerto: un motore culturale permanente per l’Abruzzo.

Lei ha riproposto la valorizzazione della voce femminile come suono di testa che, a noi tutti, ha fatto ripensare ai canti liturgici durante le processioni in cui si diffondevano queste voci altre rispetto alla parola, in tal senso vuole raccontarci il lavoro fatto dietro le quinte per giungere a questo?
Il discorso è complesso. Da un lato c’è stata una lunga ricerca etnomusicologica, dall’altro una questione di opportunità. Chi conosce il mondo corale sa bene che convincere un uomo a cantare in coro è un’impresa quasi impossibile, mentre le donne hanno una naturale predisposizione. Io sono convinto che anche in passato, nei campi, i cori spontanei fossero prevalentemente femminili, perché la donna abruzzese ha sempre avuto un’anima più nobile, più gentile, più aperta all’espressione artistica rispetto all’uomo abruzzese. Non a caso il pubblico della Notte dei Serpenti è in gran parte femminile: lo vedo dalle persone presenti e dai messaggi che ricevo. Unendo queste considerazioni alla necessità tecnica ho scelto di creare un coro interamente femminile. I pochi maschi che avevo a disposizione non riuscivano a fare massa critica, anzi creavano problemi acustici: la voce maschile, diversa, bucava la compattezza del suono. Così è nato un coro con una simbologia potentissima, capace di evocare quel timbro delle processioni, ma con un rigore tecnico assoluto.Spesso ho fatto ricorso alla musica liturgica e alle tecniche della musica sacra per armonizzare i brani, utilizzando stilemi della musica classica: questo porta immediatamente a rievocare l’atmosfera dei canti del Venerdì Santo che da bambino ho ascoltato e vissuto.
Nelle processioni c’è una spontaneità popolare che nasce dall’imprecisione, e proprio quell’imprecisione genera emozione. Io ho cercato di conservare l’emozione, togliendo però le sporcature tecniche e restituendo una versione restaurata, capace di trasmettere con forza anche attraverso il mezzo televisivo. Non dimentichiamoci che la televisione è un giudice severissimo: la massa vuole che ciò che ascolta sia a tempo e intonato, anche senza saperlo spiegare. Non a caso negli anni ’80 è stato inventato il quantize, che rimetteva in tempo le registrazioni MIDI, e più recentemente l’autotune, che corregge l’intonazione. È la dimostrazione che le esigenze della massa sono queste. Io ho rispettato questa sensibilità, lavorando moltissimo sull’intonazione e sulla precisione del coro, che quest’anno ha raggiunto livelli straordinari. Oggi parliamo di uno dei cori femminili più grandi al mondo dedicati esclusivamente alla musica popolare: probabilmente è il più grande in assoluto.Ne sono orgogliosissimo, e spero che diventi col tempo un coro indipendente, stabile, non solo legato alla serata della Notte dei Serpenti. Ma servono risorse: le ragazze vengono da tutta la regione, non dallo stesso paese, ci sono costi di viaggio e di alloggio.
Con fondi adeguati si potrebbero organizzare prove durante l’anno e costruire un’esperienza capace di cambiare la vita di tante giovani. Spesso leggo commenti del tipo “la Notte dei Serpenti è bellissima ma dovrebbe durare di più, dovrebbe esserci tutto l’anno, laboratori, progetti educativi…” e mi viene da sorridere: certo che ci ho pensato, ma queste cose hanno un costo enorme se si vogliono fare ad altissimo livello. Continuare a disperdere un milione di euro in mille piccoli progettini non porta alcun impatto reale, né sociale né turistico: è la solita elargizione clientelare che in Abruzzo ha bloccato lo sviluppo culturale per cent’anni. Concentrare invece le risorse in un progetto forte significa bucare a livello nazionale e internazionale, ottenere risultati concreti sul turismo e soprattutto sui giovani, che possono finalmente pensare di restare sul territorio investendo in cultura, invece di rassegnarsi a fare i mendicanti di progettini inutili o a scappare via.
Lei ha parlato anche di turismo e siccome quello enogastronomico abruzzese ha un peso e un valore, vorremmo chiudere con una apertura gustosa, se la Notte dei Serpenti fosse un piatto abruzzese, quale sarebbe?
Ovviamente sarebbe Le Virtù, il piatto teramano per eccellenza. È un intreccio di mille tipi di pasta diversi, di carni diverse, di legumi e spezie differenti: tutto quello che si conservava nella dispensa durante l’inverno, al cambio di stagione veniva messo insieme, rinnovato, trasformato. All’ingresso della primavera la dispensa si svuotava e il cibo dell’inverno veniva cucinato con una tecnica complicatissima, perché se sbagli diventa addirittura un piatto pericoloso da mangiare, ma se riesci ottieni un risultato sublime. Molti lo chiamano minestrone, e qualcuno si è spinto a dire che anche la Notte dei Serpenti fosse un minestrone di generi musicali.
Ma non è così: in un minestrone gli ingredienti si distinguono, restano separati, mentre nelle Virtù no. Nelle Virtù metti insieme l’aneto e il tortellino, il rigatone e le fave, le erbette di campo e la salsiccia secca… elementi che apparentemente non c’entrano nulla tra loro, ma che, amalgamati, creano un sapore unico e irripetibile.Ecco, la Notte dei Serpenti è questo: un impasto che trasforma differenze e contrasti in armonia, un racconto di identità mescolate che diventano una sola voce. Come nelle Virtù, c’è sempre la mano sapiente di una donna di campagna che ha inventato e custodito la ricetta, così qui c’è la mia mano di musicista che trasmette emozioni con le note invece che con il cibo.
Sabrina De Luca
















